Riflessioni ed attività degli scouts a Lourdes

Raccolta a cura di P. Pier Luigi Sodani, AE nazionale FB dal 1994 al 1999

Collana Spiritualità
Grafica di copertina: Irene Guerrieri
Coordinamento editoriale: Stefania Cesaretti
ISBN 88-8054-510-8
© NUOVA FIORDALISO Piazza Pasquale Paoli, 18 00186 – ROMA

Presentazione

Indice

Quelle che troverete qui di seguito sono riflessioni ed attività già sperimentate in diverse occasioni, soprat­tutto con gli appartenenti alla Comunità Italiana dei Foulard Bianchi.
La Pattuglia nazionale FB dell’ Agesci ha pensato che fosse opportuno raccoglierli in una pubblicazione per averli più facilmente sottomano quando se ne pre­senta la necessità e per poterli offrire a quanti vogliano utilizzarli ali’ interno delle loro unità scout.

A parte alcuni testi di grande spessore, scritti da veri testimoni, il resto è costituito soprattutto da tracce di la­voro per incontri e momenti di preghiera (per facili tare l’utilizzo di questo volumetto, all’indice generale sono stati aggiunti due indici particolareggiati, uno sulle atti­vità suggerite in merito ai vari temi ed uno sui principali testi di riflessione tratti da diversi autori).

La circostanza della Route delle Comunità Capi dell’agosto 1997 ci ha stimolato a questo servizio cercando cioè di mettere a disposizione di tutti i Capi e di tutti i ragazzi dell’ Agesci una certa quantità di materiale per lo più finora riservato alla Comunità FB.

Il riferimento a Lourdes è· abbastanza costante. Non bisogna meravigliarsene. Intanto percpé la spiritualità dei F.B. ha un richiamo essenziale a quanto si vive in quel luogo, un luogo che è già di per se stesso un miraco­lo. Poi perché non esiste altro luogo al mondo in cui pas­sano tanti scouts ogni anno per servire e per riflettere.

Chiunque fosse interessato a conoscere meglio il rapporto fra Lourdes e lo scautismo può utilmente rife­rirsi al volume Foulards Blancs. Itinerario di una Comu­nità 1926-1996, pubblicato dalla Nuova Fiordaliso nela Collana Orientamenti – Quaderni Agesci.

P. Pier Luigi Sodani
Assistente nazionale FB

Strada e pellegrinaggio

Indice

Il cristiano è un uomo “in movimento” verso una meta. La strada, ed in particolare il pellegrinaggio, sono una sua caratteristica che nei testi seguenti è illustrata adeguatamente.

La spiritualità dei pellegrini a Lourdes

E in primo luogo una spiritualità di pellegrino, routier di Dio. Si parte di casa, si esce dalle proprie vecchie abitudini, dalla vita normale e ci si incammina con la con­vinzione che un meraviglioso incontro avverrà al termine della strada.

Molti vengono a Lourdes come turisti o cu­riosi o giornalisti; ritornando a casa dicono: “Lourdes non mi ha colpito per nulla; mi ha lasciato indifferente”.

Ma è logico! Non chiedevano nulla; non erano venuti co­me viandanti mendichi. Come vuoi che Lourdes sia per essi un avvenimento?

Tu dunque sei partito per incontrare Dio, il Cristo, la Vergine, la Chiesa, per trovare la fede, l’innocenza, la gioia, la vita. Noi tutti abbiamo bisogno di fatti che ci colpiscano, che scuotano la nostra pigrizia e che si conducano ad una vita cristiana più risoluta.

A Lourdes tu sei atteso. Dal Signore e dalla Madonna. Tu non ci vai per caso. E un luogo dove Dio è presente in maniera particolare, un luogo di alta tensione evangelica.

Potrai scoprire cose meravigliose, essenziali per la tua vita: scoperta della fede viva, alla scuola della Vergi­ne di Bernadette; scoperta del mondo delle realtà più ve­re; del mondo della presenza e dell’azione di Dio. Noi viviamo in una tale distrazione, perduti nei nostri crucci immediati, incatenati al mondo esteriore.

Scoperta della preghiera come contatto vero con Dio, al di là delle parole e delle pratiche. C’è a Lourdes una grazia di preghiera. Tutti i pellegrini pregano a lungo, senza rispetto umano.

Scoperta della sofferenza cristiana. Lourdes non è un centro di cura. I malati non vengono a crogiolarsi né a cu­rarsi e neppure a cercarvi una guarigione certa. Essi ven­gono a testimoniare che anche· la sofferenza ha un senso e può condurre alla gioia cristiana. Questo incontro di tutte le miserie fisiche non porta allo scoraggiamento e alla di­sperazione, ma alla gioia e alla fiducia in Dio, poiché esse sono portate con fede e sopportare nella carità fraterna.

Scoperta della Chiesa. Radunata dai quattro angoli del mondo, parlante tutte le lingue. Veramente cattolica. Al di là del fenomeno di massa, al di là del grande assembramento di popolo c’è il mistero della Chiesa del Cristo di cui tu fai parte. Tutti questi uomini sono tuoi fratelli, a qualunque razza o Paese essi appartengano.

E non parlo del servizio di cui ti è detto altrove. Dovrai forse fare uno sforzo per entrare nello spirito di Lourdes e scoprirvi tutte queste cose. Vi è il flagello dei mercanti religiosi in serie; vi sono certe manifestazioni di pietà vecchiotte o sentimentali; vi è il cattivo gusto delle cose, dei gesti, delle persone. Non si tratta di ac­cettare tutto ciò, ma di lasciarti arrestare da queste ap­parenze; che esse non ti impediscano di accogliere in te la grazia di questo luogo da cui si torna migliori. Poiché la Vergine continua a parlare a coloro che hanno orec­chie per intendere.

P-A. Liegé, O.P

Il pellegrinaggio: il lungo itinerario della fede cristiana

Nella realtà del cristianesimo il pellegrinaggio ha un’importanza capitale, perché da sempre ha costituito uno dei rituali di spiritualità e di devozione che interes­sano la storia non solo della cristianità ma anche della ci­viltà umana, per i coinvolgimenti sociali, economici, arti­stici e culturali di capitale importanza che ha prodotto.

Uscita dalle persecuzioni – e già erano pellegrinag­gi quelle visite proibite, quegli incontri nelle catacom­be – la gente cristiana ha cominciato a costruire chiese, conventi, abbazie, cappelle devozionali. In particolare, poi, in quella lunga epoca che fu chiamata medioevo, il pellegrinaggio si è fatto la più cospicua manifestazione religiosa e, nel contempo, un grande evento sociale ed economico. La strada per Compostella – alla tomba dell’apostolo Giacomo – è divenuta uno degli itinerari più famosi e importanti nella vasta rete dei pellegrinaggi verso i luoghi santi della Palestina, le grandi chiese e le abbazie che sempre più numerose fiorivano in Europa, secondo i canoni dapprima sobri dell’arte romantica e poi maestosi di quella gotica.

Il pellegrino medievale seguiva un rituale ben preci­so, un codice di comportamento e viveva non pochi ri­svolti di carattere sociale ed economico. Il rito era quello della preghiera durante il tragitto, di particolari devozio­ni nella chiesa da visitare e nel dono da offrire al santo venerato. Il codice di comportamento prevedeva persi­no un particolare abbigliamento: ·il mantello (la pelle­grirna), la bisaccia, il bastone (il bordone), la conchi­glia per attingere acqua, la campanella come lo docu­mentano le immagini di quell’epoca.

A prescindere dai valori spirituali, che innegabil­mente facevano lucrare indulgenze e rinforzavano la fe­de, c’erano anche altri importanti significati. Attorno alle grandi chiese e abbazie sono nate le strutture per la vita comunitaria e le necessità dei pellegrini, la città nel senso più moderno, grazie ai commerci, ai travasi di cultura e di modi diversi di vita.

Questi e altri aspetti hanno promosso un progresso continuo non solo dal punto di vista religioso ma anche culturale ed economico che il pellegrino coglieva e poi diffondeva nei luoghi abituali. Una cultura che si fece anche letteratura reli­giosa e laica, agiografica e civile.

Verso Roma, dunque, convergevano molte strade: altre verso Gerusalemme e i luoghi santi della Palestina; altre erano segnate dalle grandi cattedrali, da Parigi a Milano, da Strasburgo a Siviglia, da Londra a Reims, da Chartres a Vienna e quasi tutte dedicate a Maria. In questa costellazione di grandiose opere architettoniche, ma anche di minori proporzioni, in questi piccoli e grandi contenitori di spiritualità e devozione, si trova un significativo esempio di unità europea, naturalmente in nome della fede.

Un aspetto particolare del pellegrinaggio l’hanno espresso le crociate verso il luoghi santificati dalla pre­senza di Cristo, almeno nella spinta iniziale, non solo per liberarli dai non cristiani, ma anche devozionale.

Un’altra spinta notevole al pellegrinaggio fu data, nel 1300, dall’istituzione dell’anno santo, voluta da pa­pa Bonifacio VIII. Il pellegrinaggio venne a subire una connotazione ancora più marcata nel sènso religioso, perché si fece rito penitenziale e segnò un itinerario ben preciso verso Roma, divenuta ormai la vera capitale del­le cristianità.

E sulla strada del giubileo, la storia della cristianità ha scritto molte delle sue pagine.

Con il passare del tempo, si diffuse, sempre più la devozione dei fedeli non solo verso le grandi chiese del passato, ma anche presso le piccole chiese di città e di campagna, ritenute luoghi di privilegiata spiritualità, te­stimonianza dal santo patrono locale o da un particola­re culto mariano.

Nella lunga storia del pellegrinaggio, Maria ha una presenza davvero singolare. La devozione mariana, questa polla perenne di grazie, ben presto si è fatta pre­sente ovunque nei Paesi cristiani. Dalle antiche catte­drali gotiche sino ai più recenti santuari, sorti nei luo­ghi delle sue apparizioni, il culto mariano attira sempre una grande folla di pellegrini. La onorano sempre sotto diversi titoli, ma soprattutto la invocano in nome di quella affezione filiale come la madre per antonomasia e detentrice di tutte le grazie. Lo testimoniano le gran­di folle che accorrono ai suoi santuari: da Loreto a Lourdes, da Fatima a Guadalupe, da· Czestokowa al piccolo santuario sperduto tra i campi.

Il pellegrinaggio cristiano, oggi, ha assunto pro­porzioni notevoli. Sono cambiate di molto le forme, ma l’idealità e la valenza spirituale sono rimaste intatte, in quel bisogno perenne che l’uomo ha di cercare aiuto, di sperare nel miracolo, di credere anche in questo mo­do al soprannaturale. Anche se si raggiungono più fa­cilmente i luoghi della devozione, si sosta in preghiera, si offre un dono, si chiede ciò di cui ha bisogno per l’anima e per il corpo. Ad Antonio, il Santo di Padova, i pellegrini sempre numerosi chiedono le grazie più di­sparate, come testimoniano i doni che depongono ac­canto alla sua tomba. Ad Assisi, i pellegrini vanno sem­pre numerosi a ritemprare la loro fiducia, in quell’atmosfera pacifica che aleggia intorno alla tomba di Francesco, l’umile pellegrino che insegnò la pace e la fraternità tra gli uomini.

A Lourdes, a Loreto, a Fatima e presso altri santuari mariani, sempre più numerosi i pellegrini vanno a pregare, magari più per riacquistare la salute del corpo.
E l’elenco è ancora molto lungo di luoghi, di chie­se, di santuari ove i pellegrini vanno a venerare i loro santi patroni.

Oggi, il pellegrinaggio cristiano è diventato anche un fenomeno dai molti risvolti: da quello turistico a quello consumistico. Ma al di là di queste immagini esterne che presenta lo svagato turista, se si guarda alle folle che frequentano i luoghi di devozione, si ritrova­no ancora vivi i significati dell’incontro con la fede, della devozione che fa congiungere le mani in preghie­ra, del dialogo che si esprime, nonostante tutto e sia pur breve, in un colloquio con la santità che si intende onorare e invocare.

don Andrea Ghetti (Baden)

Pedagogia della strada

A ogni uomo viene impartita un’educazione.

I più la subiscono incoscientemente, dai fatti, dalle situazioni, dall’ambiente; pochi la scelgono. Comunque sia, ognuno di noi, se lo volesse, potrebbe voltarsi indietro e scoprire nel corso della propria vita, quell’ esperienza fondamentale che lo ha plasmato, che non ha vissuto invano; ed evidentemente, i più fortunati sono coloro che hanno cercato e voluto questa esperienza.

Visto da questo angolo visivo, lo scautismo assume l’importanza che merita. Esso non può essere un’esperienza marginale, ma anzi, la scuola da dove verranno delineandosi gli atteggiamenti fondamentali del nostro spirito.

Così la nostra analisi cade sullo scautismo. Su ogni branca c’è uno spirito diverso ed una strumentalità diversa, ma non incompatibilità e disordine poiché il tutto si unifica nel fine e, si aggiunga, tra le branche, esiste una linearità in senso ascendente, ossia una continuità verso una maturazione.

Ecco, dunque, perché i nuovi problemi del ”Lupetto Anziano” non si risolvono se non attraverso il Reparto, quello dello scout sedicenne attraverso il Clan e quelli del rover nella Partenza.

Ma abbiamo parlato di una diversità di strumenti, ed è su questo argomento che si vuole insistere. Qualora si volesse ridurre il lupettismo al suo strumento fondamentale, tolto il quale il lupettismo non è più lupettismo, si giungerebbe, più o /’meno, a questa for­mulazione: lupettismo vuol dire Akela. Cioè vita nella Giungla seguendo il lupo anziano: è la legge.

Sempre con l’identico criterio, lo strumento essenzia­le dello scautismo per ragazzi sarebbe riducibile alla espressione: awentura. Che è avventura conquistata, vis­suta, valutata educativamente dal capo reparto, che vuol dire fiducia, responsabilità di sé e degli altri, ossia servizio.

Allo stesso modo, la “strada” è lo strumento insosti­tuibile del roverismo, rinunciando al quale si rinuncia al roverismo stesso.

E di essa parliamo ora.

Quando si dice “Strada” non ci si riferisce ad un simbolo o ad un’immagine metaforica, ma si intende parlare della strada vera, di quella-che si fa coi piedi e con un sacco sulle spalle. Quella che ognuno· di noi ha conosciuto e che è piena di pace e di fatica. Ogni rover, dal Capo Clan all’ultimo dei novizi, ha in mano questo strumento, perciò vale la pena che lo conosca e lo sappia usare conforme alle sue meravigliose possibilità.

La Strada è scuola di sofferenza.

Essa ci mortifica nel fisico perché spesso è lunga e la si percorre sotto il sole che abbacina, sotto la pioggia che ci lava o nel freddo che ci attacca violento alle parti più esposte del nostro corpo.

Dietro questa azione il nostro corpo è spinto a rea­gire e ad indurirsi, e presto la “strada”, lo accoglierà co­me uno dei suoi, di quelli coi quali potrà intrecciare un dialogo, sicura che il linguaggio sarà inteso.

E questo un lungo tirocinio che documenta qualco-sa di più che una serie di sofferenze fisiche.

La strada presto ci riduce ai minimi termini, ci sem­plifica, ci dà il gusto delle cose ridotte ali’ osso. Ci spoglia di ogni esperienza superflua poiché tutto ciò di cui ab­biamo bisogno può essere agevolmente contenuto in un s·acco reso il più leggero possibile.

Noi abbiamo spesso cercato la funzionalità negli strumenti che ci portiamo sulle spalle, e rabbiamo ap­prezzata, purché non fosse né preziosa né pesante né complicata. Il nostro concetto di conforto è tutto primi­tivo, perciò è colmo di fede e di rinuncia. La povertà, la rinuncia, la fede sono virtù sulle quali si può intessere una lunga serie di brillanti conferenze, che hanno il loro valore, ma alle quali abbiamo rinunciato.

La strada parla poco ma ci insegna molto.

Consideriamo:

Il cibo talvolta precario e ottenuto mediante la particolare gentilezza di qualche sconosciuto; un fuo­co, cordiale e caldo che è un inno continuo alla pazien­za di chi è· riuscito ad accenderlo malgrado la legna ba­gnata, un’ospitalità caritatevole ed inaspettata, che at­tenua il rigore d􀀍lla strada, questo confidare, insomma, quotidiano nella Provvidenza, ci fà ricordare che Dio è donatore.

E forse solo pochi giorni prima non ne era­vamo pienamente consapevoli, poiché avevamo con­tratto l’abitudine di prendere tutto regolarmente, come cose naturali finendo anche per considerarlo come cosa dovuta. E tutto ciò non lo si può fare senza conse­guenze. O si direbbe che la conformazione stessa del nostro pensiero si modifichi.

Un corpo stanco quando parla non è mai prolisso: dice lo stretto necessario, e i corpi stanchi che lo ascoltano non hanno bisogno di molte parole per capire. Spesso in momenti come quel­li la “verità” ci appare nella sua struttura essenziale, priva di commenti, un po’ severa, ma rischiaratrice. E della sua luce che si ha bisogno, e nell’occhio di ognu­no di noi c’è la sua immagine che sapremo ritrovare ovunque ci capiti di cercarla; purché si rimanga in esercizio.

Ma chi cammina è un pellegrino e la sua strada è la sua porta d’entrata nel mondo degli altri.

La strada è una finestra aperta sul prossimo.

È un avvicinare ciò che sta al di fuori di noi rom­pendo il diaframma della nostra comoda riservatezza: e in questo la strada è maestra di una sottile tecnica peda­gogica: la tecnica dell’incontro.

Noi abbiamo riscoperto il gusto semplice e primitivo del rapporto umano; rap­porto, oggi, assunto a scienza, ma così spesso fitto di ombre e di tristezza.

L’uomo che incontra; un altro uo­mo, è tutto qui. Non ci si conosce, ma entrambi condivi­diamo una realtà potente: il fatto di essere creature, la nostra sociologia parte da qui, da questa livellazione. Presto scopriremo che ogni uomo soffre, e che la sua sete di giustizia è anche la nostra; che noi siamo compromessi in ogni altro uomo. Qui non c’è posto per la filantropia, qui l’unica cosa che abbia un senso è la carità.

E se da veri cristiani noi amiamo il mondo, allora, sia chiaro, siamo destinati a portare sempre con noi il suo dolore. Così la nostra vita è colma della vita degli altri, il nostro servizio è come un oceano perché abbiamo di fronte a noi un lavoro immane; e chi ha paura di capire queste cose è meglio che non percorra la “strada”. Che lo si voglia o no, lungo i nostri itinerari noi siamo impegnati a portare un po’ di consolazione e di sorriso in chi incon­triamo. È sicuramente un privilegio perciò facciamolo bene, in modo che dietro di noi non ci sia che una lunga scia di benedizioni, e sulle nostre spalle un peso in più: quello della sofferenza di chi abbiamo incontrato.

Ma nessuno di noi pensa che la strada possa essere triste; il dolore e la tristezza sono due cose distinte: l’uno è una realtà, l’altra è un punto di vista, ossia un ‘modo di vedere la realtà. Noi assumiamo un atteggiamento fidu­cioso di fronte alla realtà, ed è fiducia avallata ed indicata da Dio stesso; perciò siamo dei “lieti”. E la nostra letizia ci accompagna sulla strada che fa di noi dei sensibili contemplatori.

La strada è scuola di contemplazione.

La povertà ci ha rasserenato, il dolore ci ha semplifi­cato, ora, dunque, si può dare ascolto al nostro cuore che coglierà le sfumature del nostro rude itinerario, senza cadere nelle esagerazioni che sanno di sentimento malato e pieno di sé. Così contempleremo la creazione, e faremo in modo che lungo il cammino non si senta sempre il pe­so di un itinerario con inamovibili scadenze di tappe. È bene, talvolta, considerare un tramonto lungo, che indu­gia all’orizzonte con tinte piene e gagliarde che mutano e non sanno di _spegnersi; capire la bellezza di un paesaggio pianeggiante ed in apparenza monotono che non attira l’attenzione di nessun turista, perché manca di eloquen­za, ascoltare la sinfonia dei· rumori nele varie ore del giorno, e ritènerla a memoria per poterla risentire.

Immagini: quante immagini lungo la strada. Di essa ci dà un senso estetico più raffinato; e con ciò è chiaro in noi un desiderio, o meglio, un gusto delle cose semplici, poiché la bellezza è sempre semplicità.

Questo è un profilo ben definito, dobbiamo essere coscienti. E questa è la strada che si percorre con l’u­niforme scout.

Ma è un’altra strada quella di tutti i giorni ed il lavoro più duro sarà quello di percorrerla nel medesi­mo spirito. Qui mancano le componenti, romantiche, ed avventurose della prima, qui tutto è usuale ed ordina­rio, e la vita attorno a noi pulsa di un ritmo al quale da ogni parte si vorrebbe che ci adattassimo. Rammentia­moci allora dei doni della “strada: la povertà, il senso del prossimo, il gusto delle cose semplici. Sono doni straor­dinari. Abbiamo ricevuto in una misura grande e la nostra vita non può essere ordinaria. Non si tratta di creare delle divisioni, si tratta solo di chiarezza di atteggiamenti e di obiettivi e se ciò ci distingue da chi non possiede né gli uni né-gli altri, ebbene non ci scandalizzeremo.

Il più degli uomini è vittima della distrazione. Hanno dimenticato dove devono andare, noi non pos­siamo distrarci per il semplice fatto che abbiamo visto fino in fondo.

Così il senso della strada viene a fare parte del no­stro mondo interiore ed eccoci, dunque, a chiedere al Buon Dio la “nostra strada” quella che ha tracciato per noi e che percorreremo mettendo a frutto tutti i nostri talenti, vivendola, come un’avventura a lieto fine in spi­rito di povertà, semplicità e sofferenza.

don Andrea Ghetti (Baden)

IL PELLEGRINAGGIO

La Vergine Maria, in una delle sue apparizioni, ha detto a Bernadette: “Voglio che si venga qui in pro cessione”.

Un calcolo per difetto indica in circa 3 00 milioni le persone che da allora hanno risposto a questa indicazio­ne (negli ultimi tempi si calcola che circa 5 milioni di pellegrini si rechino a Lourdes ogni anno).

Qual è il fondamento di questa richiesta e di tanta risposta?

  1. L’annuncio essenziale di Gesù è che il Regno di Dio è vicino. La tensione verso il suo Regno di giustizia e di amore è dunque fondamentale per ogni cristiano.
    Non lo era invece per i Farisei: essi confidavano unicamente in se stessi. La loro convinzione era che la giustizia deriva dall’osservanza della legge mentre per Gesù la salvezza dell’uomo deriva unicamente da Dio.
  2. I primi discepoli di Gesù nutrivano una viva at­tesa della seconda venuta del Cristo, cioè della venuta del Regno ( esigenza di una perfetta giustizia attualmen­te non riscontrabile nel mondo).
    Essi si consideravano dei pellegrini in terra.
  3. Il pellegrinaggio è quindi parte integrante della storia cristiana. Dal momento in cui terminarono le perse­cuzioni iniziarono i pellegrinaggi ai luoghi santi e a Roma.
    L’idea che sottostava a questa pratica era che in de­terminati luoghi, più che altrove, si manifestasse la pre­senza e la potenza divina.
    Anche i luoghi dove alcuni avevano subito il marti­rio richiamavano i cristiani nella speranza, come afferma s. Agostino, che anche noi “possiamo camminare verso la patria sulle loro tracce“.
    Verso quella “patria” – dirà spesso Agostino – “canta e cammina“!
  4. Ne segue che il cristiano vive in questo mondo come “pellegrino” diretto verso una meta che è al di là di questo mondo visibile e la Chiesa è una comunità di pellegrini.
    Anzi a volte il cristiano cammina nel “deserto” per raggiungere più presto e più pienamente l’unione con Cristo.
  5. L’atteggiamento più importante in questo senso è la speranza: “La speranza è necessaria a questo no­stro cammino peregrinante, ed è la speranza quella che dona conforto, mentre si cammina. Il viandante, allor­ché viene sorpreso dalla fatica mentre è in viaggio, rie­sce a tollerare la fatica proprio perché spera di giungere alla meta. Togli al viandante la speranza di giungere alla meta e subito vengono meno le sue forze. Ne segue allora che anche la speranza, che noi abbiamo ora e qui, appartiene ai giusti diritti del nostro pellegrinag­gio
    (s. Agostino).

Preghiera e deserto

Indice

Essenziale alla spiritualità è il riferimento alla pre­ghiera. I tre testi che seguono ne illustrano il senso.

LA PREGHIERA

Per un buon atteggiamento di preghiera

1. Pregare è incontrarsi con qualcuno.

Dio io non lo vedo. Non lo posso vedere con gli oc­chi né lo posso toccare con le mani. Non lo posso senti­re. Ma se da parte mia c’è lo stesso grande desiderio che c’è da parte sua allora è possibile incontrarlo.

2. Bisogna usare parole semplici per pregare.

Quando parlo a Dio non cerco parole speciali, ma parole “vere”, parole che vengono dal cuore.

3. Per pregare ho bisogno del corpo.

Prendo una posizione comoda, una posizione in cui mi trovo bene. Me ne sto immobile, senza rigidezza, re­spiro profondamente. Sto tranquillo, disteso; chiudo gli occhi. Cerco di stare consapevolmente con me stesso.

4. Per pregare bisogna spendere del tempo.

È importante che io abbia dei momenti per me.
Quando uno è proprio deciso a fare una cosa, riesce sem­pre a trovare il tempo. Questo vale anche per la preghiera. Occorre voler rimanere tranquilli un momento. Decidersi a non fare niente altro per qualche minuto. Rilassarsi completamente. Stare bene nel proprio corpo. Guardare un oggetto che ci piace o chiudere gli occhi. Non muover­si fin quando a poco a poco dentro di sé non si è fatta una grande calma. Guardarsi dentro e lasciarsi invadere da chi è già presente in noi. Dio vive in me ed io vivo in lui.

5. Il silenzio è la porta della preghiera.

Il silenzio è una cosa fragile. Ci sono i rumori che ven­gono dal di fuori, ma ci sono anche i rumori che vengono dal di dentro. L’immaginazione non è mai ferma. Come un pesciolino in una vasca è inafferrabile ed inarrestabile.

Le distrazioni distruggono il silenzio.

A poco a poco posso rendermi amici i rumori non in­seguendoli ma ascoltandoli con distacco. Se percepisco un rumore non mi muovo, non giro la testa. E se è un rumore interiore non lo inseguo con l’attenzione. Così divento re­sponsabile del mio silenzio. Saper fare silenzio è rendersi forti e liberi. E rendersi capaci di essere attenti all’essenziale. Il silenzio in presenza di Dio è già una preghiera.

6. Pregare è anche ascoltare.

La voce di Dio non somiglia affatto alla voce degli uomini. Non la si può sentire con le orecchie. Non è neppure, come si sente dire a volte, una vocina che parla nel­la coscienza. La voce di Dio è un’altra cosa. È una confi­denza e mi può arrivare attraverso il silenzio che faccio dentro di me o attraverso le cose che penso, la lettura del Vangelo, gli avvenimenti della vita, i desideri, gli incontri.

7. La bellezza è via alla preghiera.

Davanti a ciò che è bello resto stupito, meravigliato.

Ammirare la bellezza si chiama “contemplare”. Quando contemplo trovo in fondo a me lo sguardo di Dio che sa vedere tutta la bellezza del mondo. Stupirsi, ammirare, contemplare avvicina a Dio, conduce a Dio.

8. ”Signore insegnaci a pregare!”

Gesù è uno che prega. Egli ci ha dato alcuni consigli sulla preghiera:

a. Perdonare prima di mettersi a pregare (Mc 11, 25-26)
b. Non mettersi in mostra quando si prega (Mt 6, 6)
c. Non perdersi in parole interminabili (Mt 6, 7-8)
d. Insistere nel pregare (Le 11, 5-1 O)

Gesù ci ha anche insegnato una preghiera, il Padre Nostro.

9. La grande preghiera dei cristiani radunati è la Messa.

I cristiani, da venti secoli, da quando esistono, si riuniscono per celebrare il sacramento dell’Eucarestia. Lo fanno perché Gesù per primo lo ha fatto la sera pri­ma di morire, nella sua ultima cena con gli amici. I cri­stiani lo fanno perché credono che è Gesù stesso , che li invita a riunirsi. E lui che li raduna e prega con loro, ed offre loro il suo corpo ed il suo sangue come dono.

Per un incontro di preghiera

Iniziamo questo incontro in spirito di preghiera se­gnandoci con il segno della croce e recitando l’Ave Maria.

Perché si prega? Per gli stessi motivi per cui si hanno relazioni con le persone, con una Persona.

Spesso per interesse, o per necessità. Più raramente per il piacere di scambiare due chiacchiere con una persona amica o per la gioia di averla incontrata.
Scambiamo, con la persona che abbiamo vicino, la nostra opinione sulla preghiera per qualche mo­mento e poi comunichiamo al gruppo ciò che ci ha detto in merito all’argomento.

Quali sono le istruzioni per l’uso della preghiera

“Entra nella tua camera e chiusa la porta prega il Padre tuo nel egreto”
“Pregando non sprecare parole come i pagani”
“Voi dunque pregate così: Padre nostro…”

E Lui stesso come ha pregato?

  • “Padre , non si faccia la mia ma la tua volontà”
  • ”Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”
  • “Ti ringrazio Padre perché mi hai ascoltato”

Siamo tutti da annoverare fra i “peccatori”, non già perché commettiamo cose mostruose e terribili ma perché ognuno di noi “pensa al suo mulino”. Ci è così difficile aprire il cuore agli orizzonti dell’intera umanità, di quella che ci passa accanto ogni giorno, in famiglia o sul lavoro, ma anche di quella che non ha speranza, che non ha gioia.

Ilcontatto con l’ammalato, fortunatamente, rende il nostro cuore più sensibile a chi ha bisogno e lacera un po’ il muro che tendiamo a costruire fra noi e gli altri.
Questo è il nostro vero peccato.

Lourdes è un luogo aecclesiale. Che lo si voglia o no, ci costringe a misurarci con tanti altri che vivono la nostra stessa fede e, forse, la esprimono male ma la esprimono. È solo pregando insieme con loro che la nostra diviene una vera preghiera. E un desiderio di Maria “Andate a dire ai sacerdoti che si venga qui in processione e che vi si costruisca una cappella“.

Ai sacerdoti, ministri della Chiesa; in processio­ne, non da soli; una cappella, segno esterno della pre­senza della fede della Chiesa.

Maria

Quando Bernadette diceva il rosario la “bianca Si­gnora” faceva scorrere la corona fra le sue dita ma non muoveva le labbra. Così ci confida Bernadette stessa.

Ed è chiaro perché: perché non si rivolge la preghiera a se stessi.

Maria ha pregato Dio durante tutta la sua vita, ed anche in maniera meravigliosa.
La sua preghiera più nota, riportata dal Vangelo di Luca, la reciteremo insieme anche noi lentamente  fermandoci un istante prima di ogni punto:

  • L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore
  • Perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
  • D’ora in poi tutte le generazioni mz chiameranno beata.
  • Grandi cose ha fatto il me l’Onnipotente e Santo è il suo nome.
  • Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quel­li che lo temono.
  •  Ha spiegato la potenza del suo· braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore.
  • Ha rovesciato i potenti dai troni ha innalzato gli umili.
  • Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia come aveva promesso ai nostri padri: ad Abramo e alla sua discen­denza per sempre.

IL DESERTO

Le giornate di deserto sono essenziali ad approfon­dire la nostra vita di preghiera.

Una giornata di deserto differisce da un normale ri­tiro in cui si recano appoggi alla fede con mezzi esterni: conferenze, scambi, preghiere in comune. Il deserto in­vece è un tentativo di avanzare solo, spoglio, debole sen­za alcun appoggio, all’incontro con Dio. E noi non po­tremmo andare molto lontano se Dio stesso non c’invia il cibo come fece per Israele.

Il soggiorno al deserto è un tentativo di piena confi­denza in Dio per sollecitarlo a venirci a cercare, nella no­stra impotenza, affinché si manifesti a noi.
Ciò che è essenziale nella giornata di deserto è il di­stacco totale e l’attesa silenziosa e paziente di Dio con una certa inattività delle nostre potenze interiori cioè il pensiero, la memoria, la volontà.

Per andare al deserto bisogna credere che Dio può venirci incontro nella preghiera e per ottenerlo bisogna desiderarlo con fiducia e gioia. La giornata di deserto ci ricorda le condizioni di preparazione necessarie per ri­cevere questa grazia; l’umiltà di cuore, non appoggiarsi su se stessi, accettare l’assenza di consolazioni sensibili e l’austerità di questa forma di incontro con Dio: poiché se lo spirito ci visita è solo se noi stessi ci siamo prima di tutto persi di vista.

Per essere in cammino verso Dio il deserto deve es­sere accolto con uno spirito di povero, senza distacco e silenzio interiore il deserto diventa un ostacolo alla pre-ghiera. E nella nudità del deserto che cadranno le illusioni di tutto ciò che ingombra il nostro cuore; non si può camminare soli nel deserto se non si ha un cuore semplice e povero e se si attende dalla vita qualcosa d’altro che Dio solo.

L’esperienza ci porta a constatare che noi siamo tentati nel deserto, ma siamo messi nella condizione di una scelta più assoluta e più radicale, scelta le cui alter­native sono nel corso della vita normale diluite in una molteplicità di cose quotidiane e in molti compromessi più o meno coscienti.

Il confronto di un incontro con Dio nel distac­co del deserto, ci appare allora come la sorgente della nostra fedeltà alle esigenze della nostra vita di donazione e di servizio e s’inscrive nèlla nostra chiamata ad essere salvatori col Cristo, attraverso una preghiera d’interces­sione la cui intensità richiede l’assoluto del deserto.

P. Voillaume

Un segno di Lourese: l’acqua

Indice

Uno degli elementi che colpiscono di più quanti si recano a Lourdes è il segno dell’acqua: la sorgente, le piscine.

L’acqua richiama immediatamente il sacramento del Battesimo. Le riflessioni seguenti illustrano tale riferimento.

Per una attività di riflessione

La sorgente

Giovedì 25 febbraio 1858, la visione disse a Bernadette: “Andate alla sorgente e lavatevi”. E le indicò il fondo della Grotta, dove grattando il fondo con le mani, Bernadette trova un filo d’acqua che s’ingrossa poco a poco.

Oggi, la sorgente zampilla sempre, al fondo della grotta verso sinistra, un poco al di sopra del livello attuale del suolo, e la si può vedere attraverso il vetro.

Per la canalizzazione, la sorgente alimenta le fontane, ove i pellegrini possono bere e prendere l’acqua, e le piscine.

È un’acqua di montagna, del tutto normale nella sua composizione chimica.

Le piscine

Nei primi giorni, degli ammalati salirono a bagnare le loro membra nella sorgente e presero dell’acqua per gli ammalati; subito delle guarigioni furono constatate; come quella di Caterina Latapie dalle mani paralizzate fu guarita il 1 ° marzo 1858. Per evitare la promiscuità, si costruì una “cabina per abluzioni”, poi le “piscine” specie di grandi bagnarole in muratura dove i pellegrini vanno a bagnarsi con l’aiuto dei barellieri o delle infermiere.

Il fabbricato attuale, al di là della Grotta, è stato eretto negli anni 1955-1956.

Andate a bere alla sorgente

L’acqua è assolutamente necessaria alla vita. Senza acqua, animali e uomini muoiono rapidamente di sete. Qualche sorso d’acqua fresca, quale sollievo per un malato!

Nel nostro mondo affollato, una sorgente di montagna è il simbolo della vita che esplode e che ci rinnova interiormente. In Terra Santa, presso Sichem, in fondo al “pozzo di Giacobbe”, sgorga una sorgente.

Un giorno, al bordo del pozzo, Gesù disse a una donna che veniva a prendere l’acqua: “Colui che berrà l1 acqua che io gli darò, non avrà più sete e l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente zampillante per la vita eterna”. La donna gli disse: “Signore, dammi quest’acqua” (Gv 4,14-15).

L’acqua della sorgente di Lourdes; come quella del pozzo di Giacobbe, è immagine (segno) dell’acqua viva promessa da Cristo, cioè lo Spirito Santo che ci abbevera della vera Vita.

Signore donaci quest’acqua!

… E lavatevi

“Viva l’acqua, viva l’acqua, che ci lava e ci rende puliti”, come si canta a scuola.

Nel bagno, il corpo affaticato si ristora, la pelle, pulita, respira meglio. In tutte le epoche, lavarsi, immergersi nell’acqua, è stato considerato come un segno di purificazione e di rinnovamento spirituale.

“In quel giorno, apparve Giovanni Battista che proclamava “Pentitenza.. perché il Regno dei cieli (il Regno di Dio) è vicino. Ed essi furono battezzati da lui nel Giordano e confessarono i propri peccati” (Mt 3,1-6).

Il battesimo ci ha inseriti in Cristo e ci ha fatti rinascere in lui a nuova vita, quella di figli di Dio. Il sacramento della riconciliazione con Dio e con i fratelli è il vero bagno di purificazione che ci guarisce spiritualmente e ci rinnova nello Spirito di Cristo.

Qualche volta Dio concede una guarigione fisica, come segno della sua bontà che ci vuole completamente salvi.

Per una catechesi sull’acqua di Lourdes

“Bere e lavarsi”

Venendo all’acqua della Grotta per bere o lavarsi, per bagnarsi o portarla via, occorre prima di tutto ricordarne l’origine, ciò che le dà un significato profondo.

La sorgente della Grotta esi steva prima delle apparizioni.

Bernadette non l’ha fatta scaturire.

Il 25 febbraio 1858, su indi cazione della Signora, l’ha scoperta, sotto la terra e la ghiaia, al lato destro della roccia.

L’insieme dei gesti e delle parole che accompagnarono questa scoperta, danno il vero senso alla nona apparizione.

Al centro delle 18 apparizioni di Nostra Signora di Lourdes, Bernadette ha ascoltato e trasmesso queste parole:
«Vi dispiacerebbe di baciare la terra, di camminare in ginocchio, di mangiare dell’erba… per i peccatori
«Andate a bere alla sorgente e a lavarvi»

Ella ha compiuto questi gesti con fatica. La cosa ha urtato, scandalizzato, disgustato. Ella è stata schiaffeggiata, insultata, convocata davanti al procuratore.

Questa giornata drammatica Bernadette l’ha vissuta con una profondità nu ova, scoprendo questo mondo “dei peccatori” che l’ àveva fatta piangere il giorno prima, “perché la Signora era triste” quando le diceva: “Penitenza! Pregate per la conversione dei peccatori”.

La liturgia della Chiesa evocava in quei giorni gli episodi della Passione, in particolare “il Cuore trafitto” di Gesù sulla Croce, da cui “scaturirono Sangue ed Acqua”.

Siamo dunque condotti al cuore del Messaggio di Lourdes, il mistero della Redenzione, nel quale “la di­ gnità dell’uomo, la perversità del peccato si capiscono so­

lo di fronte alla Croce” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 8). In un certo modo, Bernadette mima il Ve­ nerdì Santo “per i peccatori” e dà il vero significato alla penitenza proclamata a Lourdes: non si tratta di maso­ chismo èspiatorio né di un’impresa ascetica, ma d’unione al solo penitente, l’Agnello di Dio, “riempito d’erbe ama­re”, che porta su di sé “tutto il peccato del mondo”.

Senza una seria catechesi, l’acqua di Lourdes rischia di diventare “acqua miracolosa”, non “acqua segno”; ma acqua per miracoli, acqua guaritrice e dai poteri ma­gici, fonte di superstizione ed anche di sfruttamento feti­ cista, e dunque mercantilistica.

L’acqua di Lourdes è prima di tutto segno del dono che Dio ci fa qui e che è perdono, riconciliazione, purifi­cazione, vita nuova.

Attraverso quest’ acqua, Dio ci do­ manda una lucidità cristiana di fronte al male del mondo e al peccato personale.

Nello stesso tempo, ogni genere di farisaismo sarà evitato, grazie alla meditazione della passione e della compassione di Dio “per i poveri pecca­tori, fratelli nostri”, come dirà Bernadette.

Ciò significa che l’acqua di Lourdes è strettamente legata alla Via Crucis e al sacramento della Riconciliazio­ne, due atti essenziali del pellegrinaggio.

Quanto ai gesti che è possibile compiere, devono es­ser messi in una giusta scala di valori.

l più importante è quello semplice, compiuto dalla stessa Bernadette: bere un po’ d’acqua e bagnarsi il viso, pregando per la propria conversione e per quella dei nostri fratelli peccatori.

Il bagno alle piscine non è indispensabile. Berna­dette non l’ha mai fatto! Farlo diverse volte nel corso dello stesso pellegrinaggio pone dei seri problemi. Il fat­ to di portar via dell’acqua deve avere per scopo il rinno­ vare a casa il gesto del “bere e lavarsi”, e non di conser­ varla come una sostanza “portafortuna”!

Non mancano i testi biblici, evangelici, patristici, le celebrazioni, che ci riportano al senso profondo di que­st’acqua che esce dal costato di Cristo: sorgente del Bat­tesimo, da cui nasce la Chiesa e tutti i sacramenti di sal­ vezza per l’uomo, per la vita eterna!

Testimonianze su Lourdes

Indice

Molto è stato scritto sulle esperienze che si fanno a Lourdes. Le tre testimonianze che seguono sono state scelte, fra le tante possibili, per la loro chiarezza e spontaneità.

Lourdes nella tua vita

Veramente a Lourdes ti è stato dato “un forte cuo­re” capace di servire senza cercare scuse, disponibile al di là di tutti i contrattempi e disagi di una situazione in continua fluttuazione, per un servizio che doveva ri­ spondere a continue e diverse domande.

Ci è stato donato di intravedere “il volto di Gesù” nei malati, nel loro soffrire sereno, nella gioia che brilla­ va sul loro volto.

Ci è stato donato di vivere e gustare spazi prolungati di preghiera, con la gioia misteriosa nella pace profonda che viene dal Signore; qualche volta la preghiera ci è sembrata troppo breve.

Ci è stata donata una capacità di accoglienza reci­proca e di amicizia mai viste.

Molti poi portano in cuore il ricordo di qualche “carezza del Padre dei cieli” ricevuta in momenti diver­ si, forse inattesi, ma capace di segnare un ricordo profondo e infinitamente gioioso: “Il Signore del Cielo, Maria sua madre, pensano a me!”.

Eravamo partiti con atteggiamenti diversi, magari poco entusiasti, ciascuno con le sue attese.

Tutti abbia­ mo ricevuto, in maniera diversa per ciascuno, il dono di qualcosa che aiuta a crescere nella vita…

Quasi un “salto in Paradiso”, l’esperienza di uno stile di vita meraviglio­ so, affascinante, pieno… di quello che vorremmo vera­ mente essere.

E Cristo ci ringrazia “Venite benedettilavete fatto a me” (Mt 25,34-40) e ci invita a rallegrarci perché “i vostri nomi sono scritti in cielo” (Le 10,20).

Può restare un bellissimo ricordo o diventare un seme da far crescere nella vita.

L’amicizia, il servizio, l’incontro con i malati, la Grotta, il volto di Maria, la presenza di Cristo… momenti isolati, doni di una setti­ mana, oppure segni dell’amore del Padre?

Se sono se­ gni del Padre, allora possiamo crescere nella fiducia, dataci dalla fede, della Sua presenza amorevole nella nostra strada: “Lui cammina con me!”.

E Maria che è stata il segno più immediato a Lourdes appare come la sorella coraggiosa, la donna forte e meravigliosa, la madre che sosti.ene ed incoraggia, modello ideale per il nostro camminare.

Se è un seme va coltivato, perché può produrre quei frutti che abbiamo intravisto nello stile, forse impensabi­ le prima, della settimana di Lourdes.

Coltivare vuol dire continuare a cercare il tesoro “nascosto nel vaso di creta” della nostra giovinezza. Vuol dire conquistarci, ogni giorno, spazi di preghiera, di si­ lenzio, come alla Grotta, credendo che Maria ci è sempre vicina, segno di Cristo e del Padre. Vuol dire il coraggio di piccoli gesti di servizio e di accoglienza, soprattutto verso i” diversi”, e i “malati”, per aiutare il nostro cuore a diventare vero. Vuol dire accettare la comunità in cui vi­ viamo, con i suoi limiti, vedendoci il luogo in cui Dio co­ struisce la nostra vita.

Coltivare il seme ricevuto vuol dire anche, e soprat­ tutto, credere che quella felicità, ·quel coraggio, quella fraternità che ci sono stati donati restano il segno della tenerezza di Dio e ci rivelano un amore che non verrà mai meno, e ci fanno intravedere quali meravigliose per­ sone possiamo diventare nella vita. Ricordarcene per es­ sere coraggiosi, ricordarcene quando siamo codardi, perché sappiamo che Lui è sempre fedele e quello che ci ha fatto assaporare è quello che Lui sempre dona a noi, qualunque sia la nostra risposta.

Che Lourdes sia sempre nella tua vita!

Don Franco

Meditazioni di un FB

Signore, se posso parlarti come si parla ad un amico sincero, allora ti dirò che sono felice di averti incontrato a Lourdes.

Sai è quella felicità che provi improvvisa co­me una certezza d’amore, quando incontri la ragazza che sposerai, quell a felicità che tocchi con mano, pacata come uno sguardo sulla neve, quando senti di essere “a po­ sto” dentro di te; quella felicità che ti fa saltare, leggero, leggero come l’ala di un angelo, quando hai compiuto il tuo dovere sul posto di lavoro e torni a casa, e baci tua moglie e tua figlia piccina che ancora non parla eppure ti dice le cose più belle del mondo.

Questa felicità, Signore, io l’ho gustata tutta e tutta insieme, quando ti ho incontrato a Lourdes.

Vedi, ci sono cose, su questa terra, con le quali hai a che fare og,ni giorno senza badarle più che tanto.

Poi, tutto a un tratto, per uno di quei misteri dello spirito che nessuno saprà mai svelare, tranne che te, un giorno forse come gli altri, ma in un attimo diverso dagli altri, le scoprie non te ne separi più.

Nei tuoi confronti, Signore, è accaduta la stessa co­ sa.

Quante volte sono entrato a trovarti in Chiesa?

Quante volte ti ho mangiato con amore?

Quante volte ti ho pregato con le buone parole di sempre?

Quante volte ti ho detto che eri il mio Dio?

Eppure, Signore, io ti ho incontrato a Lourdes. Che cosa strana è a volte la vita!

Averti qui, vicino a me ogni giorno, qui dentro di me e non farci mai caso; e poi an­ darti a scoprire così lontano come una “terra promessa”.

Ma ora so che per te non esiste né vicino né lontano; per te che non hai tempo né spazio e che non vedi chilo­ metri che separino il mio cuore dal cuore di Lourdes.

È stato un pomeriggio magnifico. C’erano scouts di un po’ di tutto il mondo.

Ricordi, Signore?

Eravamo tre, ai piedi del tuo altare, davanti a un prete che diceva pa­ role in francese, e davanti ad uno scout che teneva in mano tre bianchi foulards: uno per Roberto, uno per Luciano, e l’altro per me.

Ho visto, a volte, cerimonie di vestizioni claustrali: quella di Lourdes ne aveva tutto il sapore, e quando mi sono sentito intorno al collo il bian­ co tuo “segno”, allora io ti ho incontrato, Signore.

Sulla strada del dolore non potevo non incontrare il tuo volto.

E il fazzoletto bianco mi portava già su quella strada, dove la sofferenza ha le stesse tue sembianze, e do­ ve l’uomo che soffre somiglia tale e quale a te, anzi sei tu.

Signore, lo dicono tutti: chi trova un amico, incon­tra un tesoro.

Fa’ che non ti perda, allora, adesso che ti ho in­ contrato.

Mario

Scoprite l’uomo, ve ne prego!

La prima volta che andai a Lourdes fu veramente entusiasmante. L’impegno era quello di lavorare e non ci fu bisogno di ripertercelo.

Era di servizio alle piscine esterne: fra un affrettato “Parce domine” ed una concita­ta “Ave Maria” facevo quasi a gara con gli altri per chi “scaricava” più malati; correvo su e giù, rubavo il lavoro agli altri, mi sentivo importante. Tornai più buono.

La seconda volta ero all’Esplanade: dopo un giorno ero divenuto imbrattabile nel tempo e nella precisione di disporre in fila centinaia di carrozzelle.

‘E una cosa che fa piacere ai “bretelloni” e così furono abbracci e compli­ menti il giorno della mia partenza. Tornai più buono.

La volta successiva fu l’occasione delle scoperte: scoprii la bellezza del lavoro comunitario del mio Clan; scoprii i malati, la loro sofferenza, la loro fede; scoprii la spiritualità di alcuni brancardiers che stavano intorno a me; scoprii la mia pochezza. Tornai più maturo.

Ma tutto questo era nulla in confronto a quello che scoprii più tardi.

Capii che non avevo realizzato nulla perché avevo sempre·confuso il termine “malati”: ne avevo fatto un sostantivo determinante una categoria (“pregate per i malati…”spostate quei malati qui”…”siate gentili coi malati”…) mentre era un agget­tivo apposto al sostantivo “uomo”, “donna”, “bambi­no”.

Ed ecco che allora tutto cambiava!

La scoperta avvenne per una circostanza banale: avevo detto ad una persona malata che mi interessavo di teatro; questa immediatamente mi sfoderò libri e volantini re canti il suo nome, spiegandomi che era una commedio­grafa.

Parlai con lei per più di un’ora sull’Esplanade, alla processione, interrompendomi solo al passaggio del Santissimo.

La sua malattia non aveva più importanza per me: il suo spirito mi aveva conquistato.

E mi accorsi così di una nuova dimensione.

Com­presi subito perché i “malati” mi chiamavano indistinta­ mente “scout” io ero per loro della categoria degli scouts perché loro erano per me della categoria dei malati. E so­no così freddi i rapporti fra categorie!

Questi uomini, queste donne, questi bambini.

Erano malati per circostanze fortuite e il loro ca­rattere certo ne aveva risentito, ma il loro spirito era ri­ masto integro: quello di un uomo, di una donna, di un bambino. Ed avvennero così le riscoperte: conobbi le persone più disparate, incontrai il mistico e lo sfiducia­to; quello pieno di speranza e quello che non credeva in Dio ma che giocava anche la carta della fede pur di guarire; chi aveva una fede pura e chi una fede fatta di compromessi.

Capii che non era vero che tutti i “malati” tornava­ no da Lourdes forti nello spirito: conobbi lo scoraggiato, il deluso, lo scontento, e poi l’ancora-fiducioso, l’anco­ra-pieno-di-speranza. Lessi la tristezza negli occhi di chi tornava per un altro anno nelle fredde corsie di un ospi­zio o di un ospedale. Riscoprii insomma l’umanità con i suoi lati puri e con le sue debolezze.

E conobbi la mia debolezza: l’essermi sentito più buono solo per aver visto la miseria: “Signore ti ringra­zio per quanto mi hai dato sino ad oggi;ero cieco e non mi rendevo conto dei tuoi don. Oora ho visto questi pove­ri malati nel corpo. Grazie perché io non sono come lo­ro”.

Avevo avuto bisogno delle sofferenze degli altri per ” sntirmi più buono”. È inumano!

Ora non esistono più “i malati”: per me spesso que­ste persone mi chiamano per nome.

Franco

Tracce di riflessione

Indice

Riportiamo di seguito i tèsti dei programmi di spiritualità proposti alla Comunità Italiana F.B. in questi tre anni sul tema dell’amore, della speranza e della solidarietà in Cristo verso nuove frontiere.

All’interno di essi vengono indicate anche alcune possibili attività per l’attualizzazione in qualche momento di vita scout.

CIO CHE CONTA E AMARE

COME AMARE?

Non vivrò un solo istante senza amare
(Bernadette, Carnet de notes intimes, p.10)

1. “Ciascuno di noi vive nel suo piccolo universo. C’è troppa poca condivisione e troppa diffidenza. Non si può restare tranquilli quando vediamo continuamente sciupata la parola amore. Chi vive l’amore che canta? Chi è fedele alle promesse che ha fatto? In molte vite l’amore appare snaturato. Il nostro mondo muore di freddo per mancanza di amore … Tuttavia la speranza non è morta. Lo Spirito di Dio è all’opera. Egli è lo Spirito d’amore. E una speranza fatta di piccoli e grandi gesti di un amore vissuto. La vocazione, la vita dell’uomo è una vita per l’amore”.

L’amore si diffonde attraverso se stesso non ha bisogno di prediche;
le parole non servono e non bastano per diffondere e contagiare l’amore.
L’amore non è mai rimprovero,
polemica che deprime,
ragionamento che schiaccia.
L’amore eleva, incoraggia,
rende appetibile anche un bene crocifiggente.
L’amorenon dà spazzò al lamento;
chi ama non pensa nemmeno alla possibilità di scandalizzarsi:
perché non sa di che cosa lamentarsi:
non ha tempo di pensare a proteste o a rammarichi.
L’amore si adatta, non impone nulla,
anche se resta irremovibile nella Verità;
comprende chi sbaglia,
attende chi è stanco,
incoraggia lo sfiduciato.
Non condanna nessuno,
sorride a tutti.

s. Agostino
Da Ama e fa’ ciò che vuoi

2. “Occorre educarci all’amore. Educarci all’amore è fare in modo che l’altro non sia un estraneo, ma un partner desiderato.
Educarci all’amore equivale ad educarci a tutte quelle qualità che rendono validi i rapporti interpersonali:

  • la giustizia, sorgente di ogni amore,
  • la gratitudine, accoglienza dell’amore fatto dono,
  • la reciprocità, che favorisce la comunione e salvaguardia,
  • la propria identità,
  • l’ospitalità, che ti fa sentire a casa tua ovunque,
  • il dialogo che getta ponti verso tutti,
  • il perdono, che rompe la logica della violenza”.

Proposta di attività sull’amore

A. Proponete la lettura del brano del profeta Isaia 54,7-8.10 (nel quale si parla dell’amore che Dio ha nei nostri confronti; esigente, sì, ma misericordioso).

B. Interrogatevi assieme sule differenze del vostro modo di porvi a Lourdes e nella ferialità ditutti i giorni nei confronti dell’amore dell’altro.

C. Concludete con uno scambio di pace che consista in un sincero, originale e personale gesto di affetto verso tutti i partecipanti all’incontro.

CHI AMARE?

“... mi impegno a servire i malati ed i giovani…
Promessa Foulard bianchi

Il MALATO

In una società basata sul rendimento, chi è menomato e automaticamente svantaggiato, non per cattiveria, ma semplicemente perché il ritmo di vita con lascia
tempo per occuparsi degli altri. Soprattutto se necessita di un’attenzione speciale. Così il malato diventa un caso da curare e cessa di essere una persona con cui comunicare.

Il GIOVANE

Servire i giovani vuol dire considerarli pur sapendo di giocare in perdita… accettando che percorrano strade e sentieri diversi dai nostri.
Significa far credito sul futuro e, senza garanzie o credenziali, vuol dire scommettere in un Dio che non invecchia mai.
Significa intuire che anche quella dei giovani è una croce che salva. E che anche per loro dopo i giorni dell’amarezza c’è l’alba di gioia e di risurrezione.

Non si conosce una persona come fosse un oggetto, osservando e calcolando.
Nel suo nucleo più intimo, può essere conosciuta solo se si esprime liberamente, se comunica agli altri i suoi sentimenti e le sue intenzioni, i suoi pensieri e le sue decisioni, in un dialogo fatto di parole e di azioni, cioè in una storia concreta.
(Dal Catechismo degli Adulti n. 44)

Proposta di attività sull’amore degli altri

A. Proponete la lettura del brano della Prima lettera di s. Paolo ai Corinzi cap. 13 (il famoso inno all’amore).

B. Riflettete assieme e comunicatevi reciprocamente su ciò che ognuno pensa di poter fare per alimentare ulteriormente lo spirito di servizio ai malati e ai giovani.

C. Preparate assieme uno slogan comune o un brevissimo messaggio da comunicare nei mesi seguenti a tutti gli amici malati e a tutti giovani che si incontrano per servizio.

QUALE MODELLO DI AMORE?

“... Con l’aiuto di Dio e della Vergine di Lourdes…
Promessa Foulard bianchi

Maria è la più perfetta seguace di Cristo e la prima collaboratrice all’opera della salvezza.
Il suo personale cammino di fede, come emerge dai racconti evangelici, è anche il dilatarsi dell’amore verso tutti gli uomini, con un inserimento sempre più consapevole nel mistero della redenzione.
Dal Catechismo degli Adulti n.775

Maria è la creatura nuova plasmata dallo Spirito d’Amore. Testimonia la forma più radicale e interiore della carità che nei discepoli deve animare ogni impegno ed ogni azione. Insieme insegna la via della fortezza e della profezia che scaturiscono dalla comunione di vita con Dio”.
(Dalla traccia di riflessione per il Convegno di Palermo, n. 22)

Se Cristo è l’uomo ideale, Maria è la Donna perfetta.
È donna di grande fede
È donna intelligente, riflessiva e sapiente.
È donna dalla carità sollecita e aperta.
È donna serena.
È donna dalla delicatezza preveniente come a Cana
È donna forte, dignitosa e generosa sul Calvario.
È donna ricca di luce e di forza nel Cenacolo.
È donna tutta di oggi.
È donna chefa grande la donna di oggi.

Proposta di attività sul messagio di Lourdes

A. Proponete la lettura del brano del Vangelo di Luca 1,39-45 (è il branoin cui Maria, pur essendo anch’essa incinta, corre in aiuto della cugina, che aspetta un bambino).
B. Comunicatevi reciprocamente ciò che del messaggio mariano di Lourdes vi colpisce di più.
C. Recitate assieme almeno una parte del rosario dando ad ogni Ave Maria una particolare intenzione espressa dai partecipanti all’incontro.

CONCLUSIONE

L’amore non è qualcosa che brilla. Ma qualcosa che consuma. L’amore ci fa capire che quello che facciamo è piccolo, e quello che fa Dio è grande. Un amore che coinvolge tutta la nostra vita tanto da non avere tempo di classificare i nostri atti in preghiera o in azione.

Un amore che ci fa scoprire che la vita è una festa. Che ogni piccola azione è un avvenimento in cui trasmettiamo la gioia e la pace.

Non importa, quindi, cosa fare. Tenere in mano una scopa o una penna, parlare o tacere, curare un ammalato o assistere i bambini, studiare o insegnare. Tutto ciò non è che la scorza di una realtà più profonda: l’incontro della persona con il suo Dio.

Tardi ti amai: bellezza così antica e così nuova) tardi ti’ amai.
Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori.
Mi chiamasti, ed il tuo grido sfondò la mia sordità;
balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità,
diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te,
gustai e ho fame e sete;
mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.
s. Agostino

Alla sera della vita saremo giudicati dall’amore
s. Giovanni di Dio

LA SPERANZA

Togli al viandante la speranza di giungere alla meta e subito vengono meno le sue forze
s. Agostino

LA SPERANZA È ADESSO

Il futuro è parte del presente, ne è una categoria. Se, come dice Agostino, la meta risulta irraggiungibile non si hanno più motivi per proseguire il cammino e ci si immobilizza tristemente.

Il futuro è così essenziale al presente che senza di esso non si ha più energia per andare avanti.

La speranza è dunque qualcosa di vitale. Non c’è solo in noi, e molto di più nei nostri amici in carrozzella, la speranza di ritornare anche quest’anno alla Grotta per riviverne tutto il fascino, ma c’è anche tutta una serie di “speranze” che nutriamo per la nostra vita di tutti i giorni e che ci fanno proseguire con lena nel  nostro vivere ed operare quotidiano.

Occorrerebbe forse domandarci se fra queste “speranze” c’è anche quella di lasciare al Signore lo spazio ed il tempo nella nostra vita per compiere in noi il “miracolo” della nostra conversione ad un amore più grande. Un amore che ci consenta non solo di essere materialmente vicini ai nostri amici malati, ma anche così carichi di vita da essere trasmettitori di gioia nei loro confronti.

A volte il rincorrersi degli impegni che ci assumiamo non ci permettono di viverci bene in questo senso.

Proposta di attività sulla speranza

Il tempo di Quaresima non sarebbe una buona occasione per una riflessione comuen su questi temi?
Magari organizzando opportunamente un tempp di silenzio, come se fosse di sera, al teermine del servizio, di fronte alla Grotta per domandarvi:

  • Al momento presente di che cosa è pieno il mio tempo?
    Quanto ne riservo per dedicarlo alla mia crescita spirituale e al servizio giioso verso gli altri?
  • Da quali elementi posso dirmi di essere una persona di speranza che ha un atteggiamento positivo nei confronti del futuro?
  • Da che cosa riconosco che è viva in me la speranza di “risorgere” ancora una volta, pure io, la notte di Pasqua, godendomi la gioia della vittoria del bene sul male che spesso rende povera la mia vita?
VERSO QUELLA SPERANZA CHE NON DELUDE

“Muoversi verso” è un “andare oltre”. Oltre le pur buone realtà umane delle quali sono piene le nostre giornate: famiglia, scuola, lavoro, ospedale, servizio ai malati.
“Oltre” evoca quel Regno a cui tutti siamo chiamati e che non è di quaggiù, come solennemente ha dichiarato Gesù nel momento più importante della sua vita.

“Oltre” è la vera speranza per chi, come noi, accanto al fratello impedito in tanti suoi movimenti, sa che esistono spazi e tempi, nel futuro di Dio, in cui ogni limite sarà superato (anche i tanti limiti di chi osa dirsi sano) ed ogni uomo, ed ogni donna risplenderà finalmente della pienezza e della bellezza di Dio.

Proposta di attività ancora sulla speranza

Organizzate una giornata, anche con i vostri amici portatori di handicap, in cui rimettete a fuoco le motivazioni che vi spingono ad andare “verso quella speranza che non delude”.

Potreste servirvi di una qualsiasi raffigurazione di Lourdes (la Grotta, l’Esplanade .. ) e, all’interno di un momento di preghiera, esprimete con un gesto o con un simbolo quella che è, in quel momento, la speranza più viva che nutrite nel cuore e che andrete a deporre ai piedi di Maria durante la vostra permanenza al Santuario.

SOLIDALI IN CRISTO VERSO NUOVE FRONTIERE

SOLIDALI

Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più
se sposti un po’ la seggiola stai comodo anche tu
Gli amici a questo servono per stare in compagnia
Dividi il companatico e raddoppia l’allegria.

Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere.
Mt. 25, 35

La capacità di condividere il proprio cibo con gli altri crea quella solidarietà che è il segno inequivocabile del Regno di Dio che viene“.
A. Sacchi

“È il costitutivo stesso della persona ad esigere da lei rapporti di solidarietà con gli altri … L’io non si conosce se non guardando al tu; non si promuove se non sacrificandosi per qualcuno; non sperimenta la gioia se non si sente colto dall’amore dell’altro; non sviluppa cultura o forza operativa se non si mette in cooperazione. Una vita segregata nell’individualismo non è una vita umana”.
T. Goffi

“Cristo è “l’uomo solidale” che proclama l’uguaglianza dei figli di Dio, rifiuta ogni discriminazione, emancipa la coscienza oppressa dal peso delle prescrizioni legali, sana gli infermi, perdona i peccati, converte i peccatori snidandoli dal loro egoismo, promette liberazione dalla morte.
Conduce una lotta diuturna contro una religione con finata nel culto ed apre ad un atteggiamento di amore concreto e scomodante nei confronti del prossimo bisognoso.
Egli gode di stare in “cattiva compagnia” e accosta pubblicani, prostitute, samaritani e lebbrosi per dimostrare che tutti gli uomini sono destinatari della salvezza liberatrice …
Gesù Cristo che lotta contro l’ipocrisia e si impegna instancabilmente per l’uomo diventa sfida ed appello a compromettersi con lui per liberare il mondo da ogni miseria e ingiustizia e per stabilirvi la fraternità e la pace”.
S. De Fiores

“E l’esperienza che il credente fa di un Dio solidale che lo spinge a vivere la solidarietà con i fratelli. La storia della salvezza è storia della progressiva rivelazione che Dio fa di se stesso all’uomo come di un Dio che entra nella sua vita, fino a condividerla pienamente in Gesù di Nazaret”.
S. De Fiores

La solidarietà affonda le sue radici nella natura stessa di Dio . E comunione con l’altro rispettosa della sua diversità ed orientata ad attivarne la responsabilità; è
condivisione e dono di sé.

Il Dio cristiano è un “essere-per-gli-altri” e chiama ogni persona ad essere il suo partner.
“Voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete diritto di dirmi: Signor Sindaco, non si interessi delle persone senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza ( ecchi, malati, bambini)…
E il mio dovere fondamentale… se c’è uno che soffre, io ho un preciso dovere: intervenire in tutti i modi e con tutti gli accorgimenti che l’amore suggerisce e che la legge fornisce perché quella sofferenza sia diminuita o lenita… Altra forma di condotta per un sindaco cristiano non c’è”
Giorgio La Pira
Sindaco di Firenze

È veramente giusto renderti grazie,
Padre misericordioso:
tu ci hai donato il tuo Figlio, Gesù Cristo1
nostro fratello e redentore.
In lui ci hai manifestato il tuo amore per i piccoli e i poveri:
per gli ammalati e gli esclusi.
Mai egli si chiuse alle necessità e alle sofferenze dei fratelli.
Con la vita e la parola annunziò al mondo che tu sei Padre
e hai cura di tutti i tuoi/igli.
Per questi segni della tua benevolenza
noi ti lodiamo e ti benediciamo…
(Prefazio della Preghiera Eucaristica V/C)

Proposta di attività ancora sulla solidarietà

Il tema da svolgere potrebbe essere quello dei “segni”:

  1. Quali segni di solidarietà vi sembrano i più evidenti nel nostro tempo e nella nostra società?
  2. Con quali segni Gesù ha educato i suoi discepoli alla solidarietà?
  3. Quali sono i più importanti segni di solidarietà che vi colpiscono a Lourdes?

Potreste terminare la riunione con un pasto o almenocon un gesto di solidarietà verso chi ha bisogno .

In Cristo

...a tutti canterò
se nei sogni farfalla diverrò
anche te inviterò
a puntare il tuo dito verso il sol.
(L’acqua, la terra e il cielo)

Un certo tipo di religiosità tende sempre a dare molta importanza a pratiche esterne. Gesù, come abbiamo visto, nha lottato contro questo modo di concepire la religione.

La fedeltà a Cristo è slancio generoso e non rigidonimmobilismo. Esige un movimento di “uscita” orientato verso un’adesione più autentica alla sua persona.

Chi crede in Cristo rinunzia alla tentazione d’installarsi comodamente nel mondo e di imborghesirsi .

”A fronte di una religiosità vissuta prevalentemente in una dimensione emotiva generica e superficiale … proponiamo una più chiara visione allo specifico richiamo del Vangelo, che conduce alla fede nel Dio di Gesù Cristo, che si traduce in concreta esigenza ed impegno quotidiano nella carità”.
(Agesci, Progetto nazionale 1996, Verso nuove frontiere)

Ecco, la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all’uomo, mediante i suo Spirito, luce e forza perché l’uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi.
Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana.
Inoltre la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli.
Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature, il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell’uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo.
(Concilio Vaticano II , Gaudium et Spes, n.10)

Gesù Cristo è Dio che viene in persona a parlare di sé all’uomo ed a mostrargli la via sulla quale è possibile raggiungerlo.
Giovanni Paolo II , Tertio Millennio Adveniente, n .6

Egli è insieme Figlio di Dio e fratello degli uomini. Il suo sguardo su ciascuno di noi è come quello della Madre sua. Bernadette in maniera lapidaria di Maria dirà: «Mi guardava come a una persona».

L’uomo e il Cristo: dunque, stanno di fronte l’un l’ altro come il problema e la sua soluzione, con:ie il desiderio e la sua soddisfazione. Solo chi trova nel Cristo la soluzione del suo problema , la soddisfazione del suo desiderio, è salvo! Non v’è altro nome nel cielo e sulla terra per cui noi possiamo essere salvati, che il Nome di Gesù. Ormai da duemila anni si diffonde tra gli uomini il lieto messaggio del Cristo, del Salvatore del mondo. Anche in mezzo a noi, nel nostro tempo, risuona con alta e limpida voce.
Karl Adam, Gesù il Cristo

Maria Maddalena

Fu nel mese di giugno che lo vidi per la prima volta.

Stava camminando in un campo di grano quando passai con le mie ancelle) ed era solo.
Il ritmo del Suo passo era diverso da quello di tutti gli altri uomini: ed Egli si muoveva come mai prima avevo visto fare.
Non è con quell’incedere che gli uomini percorrono il mondo, e ancora oggi io non so se camminasse veloce oppure lentamente.
Le mie ancelle presero ad additarlo e a scambiarsi trepidi
bisbigli. Ed io fermai il passo per un istante,e sollevai la mano per fargli un cenno di saluto. Ma Egli non volse il capo, e non mi guardò. Ed io lo odiai. Vacillai nella Sua ripulsa, e mi sentii raggelare come sotto un cumulo di neve.
Avevo i brividi.
In sogno) quella notte) lo vidi. Più tardi mi dissero che durante il sonno avevo gridato) agitandomi nel letto senza quiete.
Fu nel mese di agosto che lo vidi di nuovo) dalla finestra.
Sedeva nel mio giardino, all’ombra di un cipresso, ed era immobile come fosse stato scolpito nella pietra) come le statue che si vedono ad Antiochia e nelle altre città del settentrione.
E il mio schiavo, l ‘Egizi, venne a dirmi: «Quell’uomo è di nuovo qui. Siede laggiù, in un angolo del tuo giardino».
Ed io guardai: e guardai ancora,e la mia anima palpitò: perché Egli era bello. Il Suo corpo non era un corpo comune, e sembrava che ognuna delle sue parti vivesse in armonia con tutte le altre.
Allora indossai vesti di Damasco e lasciai la mia casa per camminare alla Sua volta.
Fu la mia solitudine o la Sua fragranza a spingermi verso di Lui? Fu F avidità dei miei occhi affamati di bellezza?
Oppure fu la Sua avvenenza a invocare la luce dei miei occhi?
Ancora oggi non lo so.
Camminai verso di Lui con le mie vesti odorose e i miei sandali d’oro, i sandali che ho avuto in dono dal generale romano: proprio questi. E quando lo ebbi raggiunto, dissi: «Buongiorno a te».
Ed Egli mi disse: «Buongiorno a te, Miriam».
E mi guardò, e la notte che era nei Suoi occhi mi vide come mai nessun uomo mi aveva vista. E d’improvviso mi sentii come nuda, e provai vergogna.
Eppure mi aveva detto soltanto: «Buongiorno a te».
Gli dissi allora: «Non vuoi venire nella mia casa?».
Ed Egli: «Non sono già in casa tua?“. Non capii cosa intendesse,
allora; ma adesso lo so. E gli chiesi: “Non vuoi
dividere con me vino e pane?».E d Egli rispose: «Sì, Miriam, ma non ora». Non ora, non ora, disse. E in quelle due parole udii la voce del mare, e la voce del vento e degli alberi, udii. Quando le pronuncio, dentro di me la vita parlò alla morte.
Perché – ricordalo amico mio – io ero morta. Una donna che aveva divorziato dalla propria anima, io ero.
Vivevo divisa dal mio essere che tu vedi ora. Appartenevo ad ogni uomo, e a nessuno. Mi chiamavano prostituta, e posseduta dai sette diavoli: così mi chiamavano. Ero maledetta, ed ero invidiata.
Ma quando l’aurora che era nei Suoi occhi guardò nei miez: tutte le stelle della mia notte si dissolsero: ed io fui Miriam, solo Miriam,una donna che si era perduta in una terra che le era nota e che ora stava ritrovando se stessa in luoghi che non aveva mai visto.
E di nuovo gli dissi: «Vieni nella mia casa a dividere con me il pane e il vino».
Ed Egli disse:«Perché mi chiedi di essere tuo ospite?».
Ed io dissi ancora: “Ti supplico,vieni nella mia casa».
E tutto ciò che in me era zolla,e tutto ciò che in me era cielo, lo invocava.
Allora Egli mi guardò, ed il meriggio che era nei Suoi occhi fu su di me, ed Egli disse: «Tu hai molti amanti: eppure io solo ti amo. Gli altri uomini nella tua vicinanza amano se stessi. Io in te amo te soltanto. Gli altri uomini vedono in te una bellezza che dileguerà più veloce dei loro anni. Ma io vedo in te una bellezza che non svanirà, e nell’autunno dei tuoi giorni quella bellezza non avrà timore di guardarsi nello specchio, e non ne riceverà offesa. Solo io amo in te ciò che non si vede».
Poi dissec on voce ieve: «Va’, ora. Se questo cipresso è tuo e non vuoi che sieda alla sua ombra, andrò p er la mia strada».
Ed io piansi e gli dissi: «Maestro, vieni nella mia casa. Ho per Te incenso da bruciare, ed ho un bacile d’argento per i Tuoi piedi. Tu sei uno straniero, eppure non lo sei. Ti supplico. vieni nella mia casa».
Allora Egli si alzò e mi guardò nel modo in cui immagino le stagioni debbano guardare i campi: e sorrise. Poi disse ancora: «Tutti gli uomini ti amano per se stessi, ma è per te che io ti amo». Poi se ne andò.
Nessun altro uomo camminò mai come Lui camminava.
Era un alito nato nel mio giardino che soffiava verso oriente? Oppure era una tempesta che avrebbe agitato fin nel loro intimo tutte le cose?
Non lo sapevo,ma quel giorno il tramonto che era nei Suoi occhi uccise in me il serpente) ed io divenni una donna.
Io divenni Miriam, Miriam di Mijdel.
Gibran, Gesù, Figlio dell’uomo

Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre.
Lettera agli Ebrei 13, 8

Gesù Cristo è prima di tutto una presenza fraterna. È con noi, nella nostra esistenza quotidiana, con i suoi limiti, le sue meschinità, le sue sofferenze e le sue angosce. Ma non è con noi per essere semplicemente sballottato come tutti, dalle onde dei conflitti sociali, delle lotte accanite, dell’ipocrisia del fallimento o dell’abbandono: è con noi per offrirci una strada verso la libertà e verso la speranza.
Questo è Gesù Cristo: non un padrone lontano, insensibile a ciò che rappresenta per ciascuno di noi il peso della vita, ma un fratello che ci conduce, attraverso il suo proprio modo di vivere il quotidiano dell’esistenza, verso quel luogo in cui tutto sfocia finalmente nella luce e in cui tutto ritrova il suo vero significato…
André Brien

È veramente giusto renderti grazie,
Dio grande e misericordioso,
che hai creato il mondo
e lo custodisci con immenso amore.
Tu vegli come Padre su tutte le creature
e riunisci in una sola famiglia
gli uomini creati per la gloria del tuo nome,
redenti dalla Croce del tuo Figlio,
segnati dal sigillo dello Spirito
Il Cristo,tua Parola vivente
è la via che ci guida a te,
la verità che ci ha liberi,
la vita che ci riempie di gioia.
(Prefazio della Preghiera Eucaristica V/b)

Proposta di attività su Gesù

In un incontro ciascuno potrebbe presentare l’aspetto di Gesù che più lo colpisce e potrebbe farlo in maniera plastica o simbolica con qualche tecnica scout.
Non sarebbe male che, in vicinanza della festa di Pasqua, si giungesse a una vera e propria celebrazione della Confessione.

Verso nuove frontiere

Guardandomi intorno ho visto
occhi lucidi come diamanti
mani che si intrecciavano,
gambe che correvano.
Giunta ormai era l’ora di andare lontano
in un’altra città dove ci rincontreremo
in un’altra città con un’altra poesia
noi ci rincontreremo
e ci terremo compagnia.
Abbracciandoci l’un l’altro
cantando mille canzoni
andremo per i boschi
per le strade e le nazioni
giocheremo insieme
un gioco sempre nuovo
tenendo per la mano
un bambino, un vecchio, un uomo.
(Canto nazionale FB)

La frontiera è sollecitazione all’incontro: percorrerla è riconoscersi portatori di storia e ricchezza interiore, ma anche consapevolezza della necessità di andare verso chi non è come noi. Viverla porta a condividere le condizioni dell’altro, riconoscendonè la dignità e lasciando che l’esperienza stessa dell’incontro guidi a superare le maschere con cui ci nascondiamo.
(Agesci, Progetto nazionale 1996, Verso nuove frontiere)

Per noi FB questo impegno è già indicato nella nostra Carta di Comunità:

Noi, Rover e Scolte e scouts adulti d’Italia, riconosciamo nella realtà di Lourdes una scuola di vera apertura a dare il poco che abbiamo per ricevere il molto che ci manca, e quindi una occasione privilegiata per approfondire e vivere la nostra scelta di scouts di autoeducazione e di servizio e la nostra scelta cristiana e cattolica.
(Carta della Comunità Italiana Foulard Bianchi)

Ma per far questo occorre prima di tutto impegnarsi a “vivere la frontiera che è dentro ciascuno di noi” (Agesci, Progetto nazionale 1996), Verso nuove frontiere) e che molto spesso ci impedisce di incontrarci sia con noi stessi che con gli altri e, ancor più, con Dio.

Tu, Signore, eri con me“, scrive Agostino nelle sue Confessioni dopo la sua conversione . “Ero io che non ero con me. Per questo non riuscivo ad incontrarti“.

Vivere la frontiera che è dentro ciascuno di noi richiede una seria conversione del · cuore come di fronte ad uno stupore nuovo, come di fronte ad una scoperta improvvisa.
Non posso non pensare che la mia vita sarebbe stata del tutto diversa, la mia fede più ardente, la mia speranza più gioiosa, il mio amore più pieno,) se mi avessero detto più chiaramente…
Che la vita non è una pietra che si sgretola giorno dopo giorno, ma un blocco informe di marmo che il divino artefice scolpisce ogni giorno, fino al momento in cui emerge, nella sua meravigliosa perfezione, l’opera finalmente compiuta.

Che la vita non è un’energia che si consuma, ma una persona che si crea ogni giorno.
Che la vita non è un lento deteriorarsi, ma un continuo arricchimento. Che ogni giorno può portare una luce nuova, una comprensione più grande, un’esperienza più vasta, un amore piùpuro, una gioia più serena.
Che la vita non è una specie di sfumato che va dal bianco al nero, dal velo della culla al drappo della bara.
Che la vita non è un giorno che declina ma un’aurora che si leva, che non si cammina verso la notte, ma si avanza di luce in luce verso una luce splendente e senza fine.
Che dopo la redenzione il tempo non esiste più, e ogni giorno ci è donato per prendere coscienza della nostra eternità già cominciata.
Che ogni giorno che passa non è un tempo che corre via senza rimedio, ma l’eternità che avanza.
Che la vita non è un vicolo cieco, ma un passaggio, una pasqua, una strada senza fine.
Che la vita non è un bene di poco conto, ma una partecipazione sensibile alt essere divino.
Che la vita è un dono meraviglioso, un dono senza limiti: come tutto ciò che viene da Dio.
Che ogni ora è una briciola di eternità.
Che il Cristo ci ha già fatti risorgere con Lui: che è con noi: e noi siamo in Lui: siamo con lui per sempre.
Che siamo uniti a Lui come le membra vive di un corpo che vive eternamente.

Sì, sono certo che la mia vita sarebbe stata del tutto diversa se mi avessero mostrato un altro volto di Dio, se mi avessero parlato chiaramente) francamente) senza tanti se e ma sia pure animati da buone intenzioni.
Se mi avessero detto con entusiasmo e con giòia) non solo a parole ma con l’esempio) che Dio è solo amore. Se me l’avessero detto cantando, vivendo, ridendo, esultando di felicità.
La mia vita sarebbe stata del tutto diversa se non mi avessero detto di chiudere gli occhi: ma mi avessero invitato a fissarli nello sguardo del Cristo che li ama più delle pupille dei suoi.

Se mi avessero ricordato che avrei anche potuto inciampare, ma che potevo essere certo che Gesù Cristo mi avrebbe tenuto per mano. Che bastava che mi sforzassi di seguire i suoi passi: e che se, per disgrazia mi fossi allontanato, mi avrebbe raggiunto sorridendo di felicità, come il pastore che ritrova la pecora smarrita.

Se mi avessero detto! Ah, se mi avessero detto chiaramente ciò che egli ha detto: «Io sono la luce del mondo.Chi segue me, non camminerà nelle tenebre.
Ho pregato perché nessuno perisca. Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo. Morte, dov’è la tua vittoria?
Io sono l’agnello immolato per il peccato del mondo. Sono io,non temete.
Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Fa’ questo e vivrai
».

Se me l’avessero detto. Se me l’avessero detto urlando, gridandolo sopra i tetti, gridandolo con la loro vita …

Se mi avessero detto tutto questo, anch’io avrei gridato ogni giorno: «Stamattina è il primo giorno del mondo».
E avrei compreso meglio che il sole che si leva annuncia ogni giorno un mondo nuovo.
Jean Harang

La frontiera è consapevolezza dell’esistenza di limiti e della necessità di saperli affrontare.

È tensione a non ritenersi sazi di ciò che si è acquisito, ma ad andare sempre in cerca di luoghi ed occasioni
in cui il nostro servizio è più necessario, senza tuttavia smarrire il valore delle fedeltà alle strade già intraprese e alla specificità del nostro impegno.
(Agesci, Progetto nazionale 1996, Verso nuove frontiere)

Vivere la frontiera è quindi anche andare “… in cerca di una città futura” (Lettera agli Ebrei 13, 14), quella dove regna l’amore e la solidarietà.
Due amori – scrive ancora s. Agostino – hanno fondato due città: una è fondata sull’amore di sé fino al disprzzo di Dio, l’altra è fondata sull’amore di Dio fino alla dimenticanza di sé.”
Questa città, la città di Dio , oltre tutte le frontiere , è la nostra vera meta!

“Ecco, io faccio nuove tutte le cose… Io sono l’Alfa e l’Omega il Principio e la Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere…. la terra darà alla luce le ombre“.
Ecco che avanzano lunghe file di uomini e donne, ieri come l’ uomo e la donna il primo mattino dell’Eden.
Signore asciugherà le lacrime su ogni volto, la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da tutto il paese“.
Gli occhi dei ciechi si popolano di colline e di ruscelli le orecchie dei sordi vibrano al mormorio del vento tra i pioppi. Gli zoppi saltano come caprioli. I prigionieri spezzano le loro catene. La bocca dei muti sorride, le loro labbra sono colme di canzoni. Il paese della sete è diventato ricco di sorgenti.
Tu soffocavi in questo rovescio del mondo, l’angoscia ti chiudeva la gola, e i tuoi polmoni erano come un mantice bucato. La lunga litanzà del dolore, ad ogni pagina del quotidiano, e la morte, sempre la morte … La paura, la solitudine, la disoccupazione, l’odio, la tortura, la strage.
Uomo vivo, capolavoro della creazione, guarda il tuo liberatore che risale dagli inferi, vestito di scarlatto: «Ti ha disegnato sulle palme
delle sue mani».
Uomo vivo, il tuo Dio farà di te un oggetto di eterna fierezza. Non si sentirà mai più parlare di violenze e di devastazioni: il tuo Dio sarà la tua luce eterna, il tuo Dio sarà la tua bellezza.
Stan Rougier

Proposta di attività sulle frontiere

Tenete un incontro sui due seguenti temi:

  • Quali sono le vostre attuali frontiere interiori?
  • Quali sono le frontiere che la nostra comunità non riesce ancora a superare?

Maria

Indice

La spiritualità mariana appartiene a pieno titolo al bagaglio interiore dei Foulard Bianchi. Queste pagine tratte da un’opera di don Tonino Bello consentono di dare alla spiritualità mariana il giusto taglio teologico. Possono anche utilmente essere intercalate alla recita del Rosario.

Santa Maria compagna di viaggio
Santa Maria, Madre tenera e forte,
nostra incredibile compagna di viaggio
sulle strade della vita
dopo aver contemplato in questi giorni
le cose grandi che l’Onnipotente ha fatto in te,
proviamo stasera
una così viva malinconia per le nostre lentezze
che sentiamo il bisogno di allungare il passo
e, dopo averti affiancata,
di prenderti per mano e camminare con te.
Divenuti anche noi pellegrini nella fede
non solo cercheremo il volto del Signore
ma contemplandoti quale icona delle sollecitudini umane
verso coloro che si trovano nel bisogno
raggiungeremo in fretta la “città”
recandole gli stessi frutti di gioia
che tu portasti un giorno a Elisabetta lontana.

Santa Maria, vergine del mattino,
dona alla nostra Chiesa
la gioia di intuire
pur tra le tante foschie delll’aurora
le speranze del giorno nuovo.
Ispiraci parole di coraggio.
Non farei tremare la voce quando,
a dispetto di tante cattiverie e di tanti peccati
che invecchiano il mondo,
osiamo annunciare che verranno tempi migliori.
Non permettere
che sulle nostre labbra il lamento prevalga mai sullo stupore,
che lo sconforto sovrasti l’operosità,
e che la pesantezza del passato
ci impedisca di far credito sul futuro.
Aiutaci a scommettere con più audacia sui giovani
e preservarci dalla tentazione di blandirli
con le mosse strategiche della furbizia parolaia.
Perché non più dalle nostre chiacchiere di adulti
ma solo dalle nostre scelte di autenticità e di coerenza
essi sono disposti ancora a lasciarsi sedurre.
Moltiplica le nostre energie
perché sappiamo investirle
nelF unico a/fare ancora redditizio sul mercato della civiltà
la prevenzione delle nuove generazioni
dai mali atroci che oggi rendono corto il respiro del mondo.
Dai alle nostre voci la cadenza degli alleluia pasquali.
Aiutaci a comprendere
che additare le gemme che spuntano sui rami
vale più che piangere sulle foglie che cadono.
E infondici la sicurezza di chi già vede r oriente
incendiarsi ai primi raggi di sole.

Santa Maria, vergine del meriggio,
donaci l’ebbrezza della luce.
Stiamo fin troppo sperimentando
lo spegnersi delle nostre lanterne,
e il declinare delle ideologie di potenza,
e r allungarsi delle ombre crepuscolari
sugli angusti sentieri della terra,
per non sentire la nostalgia del sole meridiano.
Strappaci dalla desolazione dello smarrimento
e ispiraci r umiltà della ricerca.
Abbevera la nostra arsura di grazia
nel cavo della tua mano.
Riportacia llaf ede che un’altra Madre, povera e buona come te
ci ha trasmesso quando eravamo bambini
e che forse un giorno abbiamo in parte svenduto
per una miserabile porzione di lenticchie.
Tu, mendicante dello spirito,
riempi le nostre anfore di olio
destinato a bruciare dinanzi a Dio.
ne abbiamo già fatto ardere troppo
davanti agli idoli del deserto.
Fa cci capaci di abbandoni sovrumani in Lui.
Tempera le nostre superbie carnali.
Fa’ che la luce della fede
anche quando assume accenti di denuncia profetica,
non ci renda arroganti o presuntuosi:
ma ci doni il gaudio della tolleranza e della comprensione.
Soprattutto però,, liberaci dalla tragedia
che il nostro credere in Dio
rimanga estraneo alle scelte concrete di ogni momento
sia puqbliche che private,
e corra il rischio
di non diventare mai carne e sangue
sult altare della ferialità.

Santa Maria, vergine della sera,
Madre dell’ora in cui si fa ritorno a casa,
e si assapora la gioia di sentirsi accolti da qualcuno,
e si vive la letizia indicibile di sedersi a cena con gli altri:
facci il regalo della comunione.
Te lo chiediamo per la nostra Chiesa,
che non sembra estranea neanch’essa
alle lusinghe delle frammentazioni
del parrocchialismo
e della chiusura nei perimetn· segnati dalt ombra del campanile.
Te lo chiediamo per la nostra città
che spesso lo spirito di parte riduce così tanto a terra contesa,
che a volte sembra diventata terra di nessuno.
Te lo chiediamo per le nostre famiglie,
perché il dialogo, l’amore crocifisso,
e la fruizione serena degli affetti domestici
le rendano luogo privilegiato di crescita cristiana e civile.
Te lo chiediamo per tutti noi:
perché lontani  alle scomuniche dell’egoismo e dell’isolamento,
possiamo stare sempre dalla parte della vita,
là dove essa nasce,cresce e muore.
Te lo chiediamo per il mondo intero,
perché la solidarietà tra i popoli non sia vissuta più come
uno dei tanti impegni morali:
ma venga riscoperta come l’unico imperativo etico
su cui fondare l’umana convivenza.
E i poveri possano assidersi: con pari dignità,
alla mensa di tutti.

Santa Maria, vergine della notte,
noi t imploriamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
e irrompe la prova,
e sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni,
o l’ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre.
nell’ora del nostro calvario,
tuche hai sperimentato l’eclisse del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile la lunga attesa della libertà.
Alleggerisci con carezze di madre
la sofferenze dei malati.
Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Spegni i focolai di nostalgia nel cuore dei naviganti:
e offri loro la spalla perché vi poggino il capo.
Preservad a ogni male i nostri cari che faticano in terre lontane
e conforta, col baleno struggente degli occhi:
chi ha perso la fiducia nella vita.
Ripeti ancora oggi la canzone del Magnificat
e annuncia straripamenti di giustizia
a tutti gli oppressi della terra.
Non ci lasciare soli nella notte a salmodiare le nostre paure.
Anzi: se nei momenti dell’oscurità ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche tu,
vergine dell’avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto si disseccheranno sul nostro volto.
e sveglieremo insieme l’aurora.
Così sia.

Solidarieta

Indice

Riportiamo qui di seguito tre testi sulla solidarietà con se stessi, con gli altri e con Dio perché possano essere utilizzati in attività sui medesimi temi.

SOLIDALI CON SE STESSI

Per favore, ascolta ciò che non dico

Non lasciarti ingannare da· me. Non lasciarti ingannare dalle mie apparenze. Perché sono solo una maschera, forse mille maschere che ho paura di togliere, anche se nessuna di esse mi rappresenta.
Dò l’impressione di sentirmi sicuro, che tutto procede a gonfie vele, dentro come fuori, di essere la fiducia in persona, di possedere la calma come una seconda natura, di controllare la situazione e di non aver bisogno di nessuno.
Ma non credermi, ti prego.
Esteriormente posso apparire tranquillo ma ciò che vedi è una maschera. Sotto, celato, c’è il mio vero io nella confusione, nella paura, nella solitudine. Ma lo nascondo.
Non voglio che nessuno lo sappia. Sono preso dal panico al solo pensiero di esporlo.
Ecco perché ho costantemente bisogno di creare una maschera che mi nasconda, un’immagine pretenziosa che mi protegga dallo sguardo che capisce. Ma tale sguardo è precisamente la mia salvezza. La mia unica salvezza. Ed io lo so. Quando però, è seguito dall’accettazione, dall’amore.
Allora diventa l’unica cosa che può liberarmi da me stesso, dal meccanismo di barriere che ho eretto; l’unica cosa che mi può rassicurare di ciò che non riesco a convincere me stesso: di valere veramente qualcosa.
Questo però non te lo dico. Non ho il coraggio.
Ho paura che il tuo sguardo non sia seguito dall’ accettazione, dall’amore. Forse temo che tu possa cambiare opinione di me, che ti prenda gioco di me e che il tuo sorriso mi uccida.
Ho paura, in fondo in fondo, di non valere niente, che tu ti accorga di questo e mi rigetti. Allora continuo il mio gioco di pretese disperate con una apparenza esteriore
sicura e con un bambino tremante di dentro.
Sfoggio la mia sfilata di maschere, lascio che la mia vita diventi una finzione. Ti racconto tutto ciò che non conta niente e niente di ciò che è veramente importante,
di ciò che mi strugge dentro. Perciò quando riconosci questa routine non lasciarti distrarre dalle mie parole: ascolta bene ciò che non ti dico, ciò che vorrei dire, ciò che ho bisogno di dire ma che non riesco a dire.
Non mi piace nascondermi, te lo confesso. Vorrei tanto essere spontaneo, onesto e genuino ma tu devi aiutarmi.
Per favore stendi la tua mano anche quando questa sembra sia l’ultima cosa che voglio.
Solo tu puoi portare alla luce la mia vitalità ogni volta che sei gentile, attento e ·premuroso, ogni volta che cerchi di comprendere perché mi vuoi bene il mio cuore palpita e rinasce. Voglio che tu sappia quanto sei importante per me, come tu hai il potere di far emergere la persona che sono. Solo se lo vuoi. Ti prego, ascoltami.
Solo tu puoi far cadere le barriere dietro le quali mi rifugio, solo tu puoi rimuovere la mia maschera, solo tu puoi liberarmi dalla mia prigione solitaria. Non ignorarmi!
Per favore non passare oltre! Abbi pazienza con me.
A volte, sembra che quanto più ti avvicini tanto più mi ribelli alla tua presenza. È una cosa irrazionale ma è così: combatto ciò di cui ho bisogno. L’uomo è spesso i fatto così! Ma l’amore è più forte di ogni resistenza e qui sta la mia speranza. La mia sola speranza.
Aiutami a far cadere queste barriere con le tue mani sicure, ma con mani gentili perché un bambino resta molto fragile.
Chi sono, ti domandi? Sono qualcuno che tu conosci molto bene. Sono ogni persona che incontri. Sono te stesso.
Autore ignoto

SOLIDALI CON GLI ALTRI

Cara mamma,

sono 8 mesi da quando mi trovo in Italia, dopo essere fuggito dal nostro Libano senza pace.
In questi giorni ho sentito che forse Israele e la Palestina hanno fatto la pace, mi sembra un sogno! Ho trovato un posto di lavoro: faccio il pulivetri sulla via Prenestina a Roma.
Un compagno più grande mi dà lavoro e io gli dò il guadagno della giornata. Quello che mi lascia è poco, .ma riesco a vivere.
D’inverno le mani bagnate mi fanno soffrire, ma Roma è sempre meglio del campo profughi dove sono cresciuto.
Presto spero di mettermi in proprio in un altro semaforo e così manderò a te e ai fratellini il mio guadagno.
Conosco ormai tutte le marche delle macchine. Certi signori con macchine grandi sono scontrosi, non mi fanno nemmeno avvicinare ai vetri.
Oggi però è successa una cosa bellissima.

Una signora ha lasciato che pulissi il vetro della sua Panda. Mentre passavo la spugna inzuppata d’acqua sul parabrezza, la guardavo: aveva gli occhi neri come i tuoi, i capelli neri come te.
Alla fine mi ha detto con un sorriso: «Dio ti benedica».
Io ho preso tremante i soldi che mi ha donato, sono andato dietro l’albero e ho pianto.
Il tuo Mohammed

SOLIDALI CON DIO

Io non crederò mai

in un dio che sorprenda l’uomo in un peccato di debolezza,
in un dio che condanni la materia,
in un dio che ami il dolore,
in un dio che sterilizza la ragione dell’uomo,
in un dio che si faccia temere,
in un dio che non si lasci dare del tu,
in un dio che non abbia bisogno dell’uomo,
in un dio che giudichi sempre col regolamento alla mano,
in un dio che giochi a condannare,
in un dio che non sappia aspettare,
in un dio che esiga sempre dieci agli esami,
in un dio che esiga dall’uomo, perché creda, di rinunciare
ad essere uomo,
in un dio che non si sia fatto uomo con tutte le sue conseguenze,
in un dio che non abbia regalato agli uomini la sua stessa
madre,
in un dio nel quale io non possa sperare contro ogni speranza.
Sì, il mio Dio è l’altro Dio.
Juan Arias, Io non crederò mai

Servizio

Indice

In questo capitolo vengono presentati alcuni testi di diversi autori che possono favorire la riflessione e la discussione sul tema del servizio, in particolare di quello rivolto al mondo della sofferenza.

A coloro che vogliono servire

Siee appena arrivati a Lourdes. L’avete sognato a lungo, questo momento. Forse, la notte precedente, l’avete passata presso i malati, in un treno, affaccendati in mille cose, tanto impreviste e diverse, oppure siete arrivati a piedi, camminando sotto il sole o sotto la pioggia.

Vi siete preparati a questo pellegrinaggio, col pensiero e con la preghiera, in uno spirito di fervore e discoperta, di propositi e di desideri spirituali. Il vostro primo contatto è stato probabilmente l’incontro con i barellieri alla stazione, attivi e affaccendati lungo le banchine. Li avete visti trasbordare gli ammalati dai treni, spingere le

barelle, tirare le carrozzelle, o ammonticchiare, fino all’inverosimile, valige e bagagli su enormi carrelli.

Per la strada poi, avete rischiato di essere investiti da uno di quei grandi pullman che, un po’ a tutte le ore del giorno e della notte, scorrazzano a forte velocità, aprendosi la strada a colpi di clacson. Avete colto a volo, mentre vi superava, delle briciole di “Ave Maria” e avete scorto, in una visione fuggitiva, alcuni malati seduti e altri su barelle, stretti gli uni agli altri, mentre su tutti vegliava un capo-barelliere, ritto sul gradino posteriore del furgone.

A mano a mano che discendevate verso la zona della Grotta, avete incontrato un numero sempre crescente di ammalati: alcuni camminavano appoggiandosi a stampelle, o aggrappandosi faticosamente al braccio di persone sane; altri, seduti su carrozzelle, erano trainati da qualche volenteroso: un numero sempre crescente di uomini con gravissime infermità, come se tutto ciò che il mondo può racchiudere di più tragico e doloroso si fosse dato un misterioso convegno in questo

luogo; luogo privilegiato dove la miseria umana, qui riunita insieme più che in qualsiasi altra parte del mondo, sembra meno pesante da portare, tanto è realmente condivisa da tutti.

Così, improvvisamente, vi siete sentiti in una città strana: la città della sofferenza e della pace, dove l’ammalato è il padrone, e il sano è il servitore. In voi, forse, è nato un certo desiderio di mettervi al loro servizio, vedendo che soltanto i barellerei organizzati nell’Hospitalité avevano il privilegio di avvicinarsi agli ammalati e di occuparsi di loro.

A mano a mano che discendevate verso i Santuari, siete stati urtati dall’eccessiva e irritante esposizione di un commercio che si estende a perdita d’occhio, storditi da quella strana atmosfera da fiera, una fiera che non finisce mai e regna in tutte le vie, fino davanti alla cancellata.

È un doloroso paradosso, e non certo uno dei minori, di questa città, segnata da una presenza soprannaturale incontestabile, e sommersa da tutto ciò che l’inventiva commerciale dell’uomo può fabbricare di più volgare per trar partito da un sentimentalismo che si avvicina molto ad una reale devozione.

Ed ecco che, all’improvviso, oltrepassando l’inferriata del “Domaine”, tutto questo accumularsi di mediocrità scompare di colpo, come se si fosse infranto contro una forza invisibile e potente: Voi entrate nel Regno della Preghiera e della Grazia, dove la benevolenza di Dio si manifesta come nei primi giorni del Vangelo.

Là, cessate le grandi manifestazioni, soltanto la preghiera rompe il silenzio, e soltanto il sorriso degli ammalati illumina la spianata e i luoghi adiacenti.

Come se foste entrati in una immensa cattedrale, le cui volte raggiungono le dimensioni della Terra, una cattedrale costruita da Dio durante la creazione e soggetta alle sue leggi.

Voi ora avanzate verso la Grotta miracolosa dove, per 18 volte, la S. Vergine, risplendente di giovinezza e di bellezza; si degnò nel 1858 di confermare con la Sua presenza e le Sue parole, l’infallibilità della Chiesa nella proclamazione dei suoi dogmi e di insistere sulla necessità di fare penitenza per condurre una vita veramente cristiana.

Voi ora scoprirete i santuari, innalzati l’uno sull’altro come scalini di preghiera all’assalto del cielo, con le loro tre

lance; la spianata vasta e aperta al riparo delle braccia della chiesa, che si protendono in avanti; la Grotta, tutta annerita dal fumo dei ceri che bruciano giorno e notte, simbolo della preghiera ardente e inestinguibile che senza soste si leva e si consuma nel suo impenetrabile scaturire; e in fondo, le umili piscine raccolte contro la roccia.

Minuscolo territorio dove il miracolo dell’acqua, segno tangibile di un prodigio, non cessa di perpetuarsi nelle piscine e nelle fontane. Grotta intatta, dove la potenza della Madre di Dio si concretizzò, per qualche istante, in una visione radiosa che stupì il mondo e che attira i cristiani fino dagli estremi confini della Terra.

Se ora con una totale buona volontà vi lasciate penetrare dalla Grazia, e con fede sincera vi impegnate nella preghiera, allora sentirete subito che Lourdes è un luogo straordinario che rende lieve la vostra preghiera e ispira la vostra carità.

Che importa, allora, se uscendo di qui, ritroverete, al di là della cancellata, il mondo più scipito e più attaccato al Maligno? ·

Se, superando la naturale apprensione per la vostra inesperienza alla vista di tanta sofferenza, vi mettete umilmente al servizio dei malati; se, cercando di compiere il meglio possibile i compiti, per minimi che siano, che vi si affidano, voi obbedite con prontezza ed esattezza senza discutere in voi sulla opportunità o la contraddizione degli ordini ricevuti, allora la Vergine vi prenderà, come ha preso tutti noi, in questa corrente inesauribile di Grazia che Ella non cessa di dispensare a chi La serve con fedeltà.

È qui, che noi vorremmo condurvi; è a questo punto di sevizio che noi vorremmo prepararvi. Tutto ciò che oggi vi urta, ha urtato anche noi; tutto ciò che vi sconcerta, ha sconcertato pure noi.

Ma come la Lourdes umana, dopo averci sfavorevolmente impressionato, non esiste più al contatto della presenza e della Gr zia della Grotta, così questa marea senza fine, questa folla rumoreggiante coi suoi canti e le sue processioni incessanti, finirà presto di sorprendervi e sconcertarvi quando sarete entrati a contatto coi malati.

Che importa se talvolta l’accento è messo su una devozione che lascia una tranquilla coscienza invece di far riflettere sulla severità del messaggio evangelico riportata con tanta insistenza e precisione da Bernadette?

Che importa la preoccupazione del “servizio anzitutto” o la soddisfazione che vi si può trovare, soddisfazione che vela spesso l’istintiva comprensione che si dovrebbe sempre avere del malato e della sua dignità?

Non arrestatevi dunque alle vostre prime impressioni o alle vostre preoccupazioni. Non guardate tutto superficialmente con l’occhio di un turista durante un soggiorno-lampo.

Non abbiate fretta di formulare subito un giudizio definitivo: la paglia e la trave fanno sempre parte del bagaglio umano.

Piuttosto guardate, senza debolezza ma non senza indulgenza, e innalzate la vostra preghiera e la vostra azione nella prospettiva di Dio.

Per voi giovani la “Capitale della Preghiera” prenderà allora un significato. L’azione e la carità, l’abnegazione silenziosa ed i contrasti senza numero, il coraggio e la resistenza contro la fatica, la precisione rigorosa ed il peso delle responsabilità, una cooperazione sicura al messaggio di Lourdes, vi riveleranno un campo di preghiera e di servizio di una intensità sconosciuta, dalle possibilità immense e misteriose che daranno un orientamento alla vostra vita.

Tutto ciò che ieri vi sorprendeva prende un significato.In mezzo a questa confusione, voi scoprite un’ autentica preghiera; in mezzo a questi visi malati, coricati o in piedi, voi incontrerete un coraggio, una rassegnazione e una speranza senza limiti; in mezzo alle fatiche più umili, voi scorgerete una confidenza ed una fede ammirevoli. A questo punto se voi giungerete ad isolarvi, vi sentirete penetrare da un fervore tutto nuovo.

Ritroverete il senso dei pellegrinaggi, questo pregare coi piedi che ci fece un tempo scoprire Padre Doncoeur sulla via di Chartres, quando ci accompagnava, giovani routiers, dietro a Peguy.

Voi vi mescolerete all’ondata che avanza, che canta prega e, trascinati da lei, comprenderete meglio ciò chedeve essere questo passo, concreta e volenterosa espressione dell’anima, verso un luogo benedetto. Scoprirete il mistero della sofferenza e dell’Onnipotenza di Dio, della sua bontà verso tutte le creature.

Comprenderete meglio il senso della Chiesa e della Comunione dei Santi, della sua istituzione divina e della sua missione sulla Terra. Sentirete tutta la sua universalità, che prefigura. talvolta la “Parusia” promessa nella riunione dei popoli che acclamano il Signore.

Penetrerete nel mistero della Santa Vergine, novella Eva per mezzo della quale ci fu restituita la Grazia, Madre di Dio, che voi allora non ricorderete più con quel viso tenero dell’immagine della vostra Prima Comunione, ma con i tratti potenti della Madre di tutto il genere umano, la quale occupa il posto e svolge il compito insostituibile che ogni madre ha nella vita di un uomo.
]acques Astruc

ESSERE PROVATI

Affrontiamo in questo incontro di preghiera un tema inattuale.

La società di oggi occulta ed anestetizza il dolore e sostituisce la salute alla salvezza.

Il suo modo di porsi di fronte al dolore e alla prova risente del peso determinante che oggi hanno la scienza e la tecnica. L’intenzione fondamentale con cui scienza e tecnica affrontano il dolore e determinano l’atteggiamento stesso della società nei suoi confronti, è quella del dominio.
Per questo oggi il dolore è compreso come qualcosa che può e deve essere dominato e viene affrontato come dominabile. Questo spiega perché di fronte ad un dolore al quale non possiamo trovare una soluzione preferiamo il silenzio, la fuga o·l’occultamento. E gli individui si sono trasformati in “consumatori di anestesia” tanto che alcuni, parlano apertamente di “società anestetizzata”. Si tratta dunque di un fenomeno di rimozione della sofferenza!

  • In quali forme si manifesta nel mio vissuto quotidiano questo fenomeno?
  • Da che cosa posso dire di esserne cosciente?

Eppure nella vita umana e cristiana un problema ineluttabile è quello della sofferenza, della malattia e della morte, cioè, in una parola, della prova. Prima o poi queste realtà le si incontra. È possibile balbettare una risposta? È stato scritto che la domanda “perché si soffre?” è la rocca dell’ateismo. L’uomo infatti ha il triste privilegio di soffrire più degli altri viventi perché può pensare alla sua sofferenza. Il male, la sofferenza è là dove l’uomo è minacciato, diminuito o distrutto.

  • Quale esperienza ho fatto io della sofferenza?
  • Quali interrogativi ne ho tratto che hanno interpellato la mia fede di cristiano?

I tre condannati

I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole, i tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi. «Viva la libertà» gridarono i due adulti. Il piccolo, lui taceva.
«Dov’è il Buon Dio? Dov’è?» domandò qualcuno dietro di me. Ad un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte. Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramontava. «Scopritevi!» urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo. «Copritevi!» Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora. Più di mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i loro occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: «Dovè dunque Dio?». E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: «Dov’è? Eccolo: è appeso a quella forca».
E. Wiesel
La notte, Firenze 1980, pp. 66-67

La fede cristiana non dà spiegazioni sul senso del dolore né sulla sua origine.

Noi cristiani non possediamo una interpretazione della sofferenza del mondo migliore o superiore a quella degli altri. L’incomprensibilità del dolore rimane anche per noi un mistero, riflesso dell’incomprensibilità della vita.

La religiosità umana invece rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo. Così Dio diviene il Deus ex machina.

Al centro della fede cristiana però non c’è un Dio impassibile ma un Dio che ha sofferto.

Colui che ha sofferto sulla Croce non è solo Gesù di Nazaret, ma il Figlio di Dio, Dio stesso.

Volgeranno lo sguardo a me che hanno trafitto.
Zc 12,10

Cristo non ci aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in /orza della sua debolezza, della sua sofferenza ... Solo il Dio sofferente può aiutar
Bonhoeffer

Dio condivide con noi tutte le nostre sofferenze e le nostre prove: «Questo è l’uomo».
Gv 19,5

  • Alla luce della mia fede come riesco a legare la sofferenza e le prove alt amore) al seguito di colui che ha amato fino alla passione e alla morte di croce?
  • In che modo riesco a sperare contro ogni speranza e a confidare a Dio la mia sofferenza?

Servire è giocare nella squadra di Dio

In India capita spesso di vedere un fachiro che, in seguito ad un voto, tiene un braccio in alto senza servirsene.

Quel braccio si dissecca e muore. Allo stesso modo quella scintilla d’Amore che esiste in ogni uomo, se non viene esercitata, si perde e muore; ma se la si mette in pratica, cresce, prende maggiore forza e diviene ogni giorno più esaltante.

Servire significa sacrificare il proprio piacere e la propria convenienza per aiutare coloro che hanno bisogno di noi. Ebbene, se metti te stesso al servizio degli altri, ti renderai conto di star sviluppando in te quella scintilla d’Amore, finché diventerà talmente forte da sollevarti gioiosamente al di sopra di tutte le difficoltà e noie della vita: ti sentirai superiore ad esse, sarai pieno di buona volontà verso tutti, e la tua coscienza, la voce interiore ti dirà: «Bravo!».

Questo amore è simile alla misericordia, che, come dice Shakespeare, ha una duplice qualità: è una benedizione tanto per colui che la dà come per colui che la riceve. Questo Amore è la particella divina che è in ciascuno di noi: è la nostra anima.

È qui che risiede, secondo alcuni, per l’uomo la possibilità di raggiungere quella che si chiama la vita eterna: sviluppare cioè la sua anima finché, da particella divina che era, essa sarà divenuta una parte di Dio stesso. È qui che l’uomo trova la felicità di essere un giocatore nella squadra di Dio. È qui che trova, adesso e sulla terra, non più tardi in qualche punto indeterminato del cielo, la gioia del paradiso.
B.-P.
La Strada Verso il Successo, pp. 210-213

Servire è essere suscitatori di speranza

La malattia è soprattutto insicurezza, perdita di controllo e chiusura improvvisa di un futuro. Il malato si sente improvvisamente straniero, senza punti di riferimento sicuri: neanche il suo corpo è più affidabile.

Dalla fiducia che almeno gli altri mantengono un controllo della situazione rinasce la sicurezza, la fiducia e la speranza di un futuro. Ed anche la voglia di lottare.

È la fiducia che gioca un ruolo importante nella relazione fra il volontario ed il malato e rende possibile un futuro, e cioè la speranza. Ne consegue che il modo in cui ci prendiamo cura del malato diventa, per lui, un motivo di speranza umana, ma anche un momento di passaggio verso qualcosa, o Qualcuno, che va oltre l’evidente e diventa per lui sicurezza che la malattia e la morte non hanno l’ultima parola.
Luciano Sandrin
Il cammino della speranza nel malato

Servire è far nascere e rinascere la vera umanità

Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito,ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.
Mc, 10, 44-45

Servire, per il Cristo, non c’è alcun dubbio: servire significa servire il Padre, occuparsi delle cose del Padre, fare ciò che il Padre attende da lui. Ma il servizio che il Padre attende è precisamente il sevizio   della loro salvezza, servizio che Gesù compie insegnando, guarendo e dando nuovo coraggio a quelli che incontra. Se non ci fosse questo legame tra il servizio di Dio ed il servizio dei fratelli, sarebbe difficile accettare di farsi volontariamente servi degli altri, con tutto ciò che questa espressione implica di umiliazione e di rinuncia alla propria dignità. L’uomo può farsi servo solo se qualcosa cambia nell’ordine delle relazioni umane

Servire, non si può seguire Cristo se non vivendo come Lui. Gesù uomo libero. Libero per servire e per insegnare a servire. In questo atteggiamento di dono che fa un tutt’uno con la sua libertà, Gesù va verso tutti coloro che hanno bisogno di essere riconosciuti nella loro dignità umana, come se la vera umanità dovesse sempre nascere e rinascere ai margini della società soddisfatta di se stessa. Gesù donandosi a chi è aperto a ricevere, annuncia un nuovo rapporto fra uomo e uomo. Un rapporto di disponibilità reciproca. Come col Padre, in terra come in cielo.

Il servizio è il cuore della vita di Cristo e quello della vita dei cristiani. Non è un optional, ma parte essenziale del cristianesimo. E ciò che lo rende vero e rende Cristo presente nella storia di oggi, liberatore dell’uomo di oggi, attraverso di noi.

Ero malato e mi avete visitato.
Mt 25,36

Noi con loro

Quando mi accosto alla persona ché io chiamo disabile, cerco di cancellare la parola “disabile”. Cerco di fissare il mio sguardo in lui, come persona, come persona che è preziosa, che ha dei compiti da svolgere; cioè cerco di vedere tutta la positività di questo essere che è parola irripetibile di Dio. Poi scopro che lui ha delle difficoltà molto serie, maggiori difficoltà delle mie. Però con sorpresa mi accorgo che io pure ho delle difficoltà più gravi delle sue ad accedere, ad entrare in rapporto con lui.

Per cui, facendo il paragone, trovo in me molti limiti che in lui non trovo. Io quindi non devo partire da ciò che manca all’altro, ma da ciò che lui può, dalle sue possibilità.

Il mio atteggiamento educativo consiste allora nell’uscire da me stesso per cercare le strade che mi consentono di entrare in lui.

Si tratta cioè di cogliere le possibilità che l’altro mi offre di conoscerlo. Sì, perché il bisogno più profondo dell’altro è quello di essere conosciuto.

E nella misura in cui si è conosciuti, si esiste per qualcuno, si è cioè un valore per l’altro. Uno in cui non si percepisce un valore per qualcuno, muore. Dunque l’atteggiamento vero è quello di chi accosta l’altro cercando di comprenderne il linguaggio per entrare in dialogo con lui.

Allora anche i ciechi vedono, anche i sordi odono, anche i muti parlano. Il problema è saper ricevere i messaggi e decodificarli. E una volta entrati in dialogo si stabilisce una relazione vitale che fa esplodere tutte le capacità della persona.

Chi è che sa capire veramente in profondità il linguaggio dell’altro? Gesù.
Dice il Vangelo: “Io conosco le mie pecore e loro conoscono me“. Cioè io esisto per loro e loro esistono per me. Il ragazzo che qui (al Ponte) segui anche per un’ora sola alla settimana, lo devi scegliere. Se non lo scegli nel tuo cuore, tu vieni a fare qualche gesto nei suoi confronti; sono gesti che sono buoni sì, però non sono dichiarazioni d’amore.

Io ti ho scelto perché ti ho amato: qui sta il segreto. Allora sarà lui stesso che ti indiçherà la strada per entrare in lui. E per utilizzare i mezzi che ti dà, devi esser molto attento e disponibile e buttare via la tua vita. Perché in genere sei tu che imponi all’altro, mentre invece tu sei suo servo, a imitazione di Gesù.

Molti sono i filantropi, ma se non si è radicati in Cristo, non è l’Amore vero.

Appunti da una conversazione di don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Giovanni XXIII.

Il mistero della sofferenza

Certo tu non hai mai visto tanti ammalati, e così da vicino. Io ti sento goffo e timido davanti a loro, o traballante come un orso in mezzo a vasi di porcellana. Cercherò di introdurti da loro, di darti qualche consiglio e aiutarti ad aprire le porte di un mistero.

UN MALATO

Chi è questo malato? È un uomo che porta con sé questa assurdità: di essere stato creato da Dio per una vita piena, e di non avere che una vita rimpicciolita.

Tutto ciò che avrei potuto essere, io non lo sarò mai. Non avrò un mestiere o sarò obbligato a cambiarlo.
Non guadagno la mia vita; sono. a carico dei miei; vedo che scompiglio i loro progetti, che dò loro noia, che impongo il peso della mia malattia.
Non conoscerò l’effusione dell’amore, né la gioia dei figli. La mia fidanzata non mi scrive più, mia moglie mi ha sostituito a casa. Vivo solo e solo morirò, sballottato da un ospedale a un sanatorio, a un ricovero. Sono un numero per l’amministrazione, un oggetto ingombrante.
Non ho la responsabilità di niente, non mi trovo impegnato in nulla se non nella mia impotenza. Le decisioni non toccano a me; non posso fare nulla da me stesso e per ogni cosa ho bisogno degli altri. Il mondo mi sfugge e io non posso agire su di lui. Non sarò mai un adulto; ho perso l’autonomia della mia persona. D’altronde mi si cura come se fossi un bambino, mi si accarezza come un ragazzo, mi si porta attorno come un oggetto.
Se io sono paralizzato, se le mie braccia gesticolano e il mio viso si contrae, i passanti si voltano e pensano chem io sia un idiota. Sono un oggetto di curiosità, di pietà. E anche un oggetto di timore: fino al XVII secolo ho portato a tracolla una raganella; e ora si disinfetta la mia coperta (ed è giusto) perché posso essere contagioso.
Sono solo e straniero a tutti. Essi hanno le loro preoccupazioni che non sono più le mie. Tutto il mondo mi è diventato estraneo, nessuno può prendere il mio posto, nessuno può sentire il mio grido. Il mio dramma è troppo legato a me stesso, non è comunicabile; sono cosciente del mio essere anormale, straziato, incompleto.
E perché io?
Sono venuto qui per gridare. So che non c’è che Dio che possa capirmi e la Madre Sua. O quanto meno, sono venuto qui perché saranno otto giorni di permesso fuori del mio ospedale. E se Dio mi guarisse?
Non lo credo; ma almeno Egli mi aiuterà. È l solo amico fedele. Penso anche ai compagni che ho lasciato nella mia corsia e che non hanno neppure questa speranza”.

Dobbiamo ammettere che questo è difficile a capirsi.

Ogni malato che tu avrai da trasportare e da curare, porta in sé un dramma personale, intimo, sociale, familiare: il mistero di Dio è presente in lui in modo inusitato, quasi sconcertante.

L’AMICIZIA

Tu vini a Lourdes con un cuore amico: sii un amico. Generalmente si conosce uno dal suo esteriore. Si conosce ciò che egli lascia vedere, cioè l’apparenza.

Tutta una faccia della sua vita personale ci sfugge: il profondo di lui, le sue gioie, le sue pene, i suoi sentimenti, le sue ragioni di essere. Ma lo si può anche conoscere da amico; e allora tutto cambia. Conoscerò la sua vita in profondità ed egli conoscerà la mia. Egli diventerà un altro me stesso, mi sarà presente, lo porterò in me. Legami nuovi ci uniranno, frutto di un dono reciproco.

SPIRITO D’AMICIZA

Ma l’amicizia non si crea d’improvviso. È dunque uno spirito d’amicizia che ti si chiede, è un cuore aperto ed accogliente che deve regnare in te durante questi giorni di Lourdes. I tuoi gesti, il tuo modo di fare saranno il riflesso di questa apertura: sorridi sempre e a tutti; non parlare se non con il sorriso; non gridare; non aver l’aria crucciata, né impensierita, né dura, né tormentata; sii simpatico e sforzati di comprendere gli altri.

Sii attento, premuroso. Attingi dalla tua esperienza personale ciò che significa quella palpebra stanca, quel gesto lento, quello sguardo lontano, quella testa che si raddrizza un po’, quelle mani che bruscamente si allontanano o che tremano. Certo, tu non puoi sapere tutto, né indovinare, ma la dolcezza ti aiuterà e supplirà a ciò che non sai.

RISPETTO

Per accogliere come un amico colui che ci si è confidato, è necessario anzitutto saper rispettare la sua personalità.

Davanti a un infermo noi ci sentiamo talmente estranei da dimenticare che egli è una persona. È il più grave rischio che tu puoi correre! Allora, tu lo tratterai come un oggetto che viene spostato o spinto, o vestito.

Sarai preso dall’ingranaggio. Sarai come un magazziniere che aggiusta le sue casse. Dirai: «Dove mettiamo questa carrozzella?» – «Fatemi passare questa barella!» – «Questa barella ha sete».

No. Il malato è un uomo in tutto come te; il dipendere è costantemente dagli altri è assai umiliante, senza che tu vi aggiunga delle vessazioni inutili. Abbi rispetto dei malati. È difficile nell’ agitazione dell’andirivieni continuo, ma sii severo con te stesso.

COME LA PROPRIA MADRE

Pensa sempre di avere con te “la tua mamma malata”.

Prenderai mille precauzioni, sarai previdente. Ti informerai dei suoi desideri; non· risponderai al posto suo; rifiuterai di dare del tu se non ai ragazzi della tua età; avrai rispetto e considerazione. Quando sarà possibile gli lascerai scegliere il suo posto, le sue occupazioni, la forma della sua preghiera. Certo, questo è raramente possibile a Lourdes dove è necessario subire con un sorriso la ressa delle grandi folle e degli spostamenti collettivi. Ma non dimenticare mai il rispetto dovuto all’uomo malato.

Altrimenti tu perdi 4 tuo tempo, e il posto non è qui.

DISCREZIONE

Un’altra qualità importante del tuo servizio è la discrezione; è una forma di rispetto, è saper scomparire davanti

all’altro. Non imporre la tua presenza. L’agitazione continua della folla e il fiume di parole riversate senza misura dagli altoparlanti sono le due cose che affaticano di più gli ammalati a Lourdes. Come si desidera allora il silenzio e la solitudine!

Discrezione nelle sale, nelle visite, alle piscine. Sappi non vedere, non notare, non stupirti di nulla, non aver alcun movimento di sorpresa, sviare il tuo sguardo, scusarti.

Non imporre un nuovo imbarazzo a colui che soffre già abbastanza di esporre le sue miserie in pubblico se non hai l’espresso incarico, evita di entrare nelle sale quando i malati si vestono o si svestono.

Discrezione nelle parole. Non interrogare tutto il tempo, non cercare di sapere tutto, non essere di quelli che prendono piacere a scorticare la vita di un altro in pochi minuti e mettere a nudo ciò che essi vorrebbero tener celato.

Spesso i malati amano parlare della loro malattia, ma tu non provocare i perché e i percome: troppe cose non ti riguardano.

Evita le domande indiscrete, ma sappi ascoltare, accettare la confidenza, e serbare tutto nel tuo segreto.

ESSERE COMPASSIONEVOLE

Barellieri, noi dobbiamo essere assai aperti ad accogliere la sofferenza di qualche ammalato e condividerla nel nostro cuore. Essere compassionevole significa soffrire con lui, portare con lui la nostra parte di fardello: la sua sofferenza diventa la mia, la porto con me, e in due il peso sarà come alleggerito.

Tale compassione è ben altra cosa della pietà nel senso abituale della parola: mi fa pietà. Questa pietà rimane una emozione elementare: la nostra sensibilità è scossa, noi abbiamo uno stringimento di cuore, compiangiamo l’altro essere nella sua situazione (e siamo ben contenti di non essere come lui. Se la pietà ci spinge ad agire, è per allontanare da noi questa sofferenza, non per condividerla.

Il malato rifiuta questa pietà, la quale aumenta la sua vergogna, lo umilia ed impedisce ogni possibile legame.

La vera pietà viene da Dio, e si radica nell’amore; fin nel profondo del cuore ci rende simili al malato e ci suggerisce i gesti che saranno i segni di questa comprensione.

NON AUMENTARE LA SOFFERENZA

Noi saremo soprattutto compassionevoli con i malati sofferenti, con quelli che attualmente soffrono nel loro corpo. Sarà necessario agire con dolcezza e non aumentare il loro dolore. È ecessario sapere chiedere loro dove hanno male, quali precauzioni prendere per portarli sulle barelle o sulle carrozzelle; evitare i movimenti bruschi come: urtare un braccio, mettere un oggetto pesante sopra le gambe quando si spinge un “carrello”, evitare le scosse sopra i ciottoli, abbordare dolcemente il passaggio di un canaletto o i dislivelli del terreno; quando si posa una barella evitare i colpi a terra e sempre essere attenti a tutto poiché la minima scossa rintrona talvolta dolorosamente in tutto l’essere di un malato.

LE MANI DELLA MISERICORDIA DI DIO

In questi umili gesti dobbiamo pensare che siamo gli strumenti di Dio. È Dio che è Misericordioso. È Lui che “piega il suo cuore sulla miseria”; è Lui che aiuta e che solleva. Solamente si serve di noi per agire. Noi siamo gli strumenti di Dio e la Sua misericordia passa attraverso le nostre mani. L’unità del Corpo di Cristo è tale, tra Lui e gli uomini, che è insieme lo stesso; il Cristo dolorante in ogni malato e il Cristo misericordioso in ogni barelliere: è Lui che ci lega gli uni agli altri.

IL LIVELLO DELLA CARITÀ

È a questo livello della carità che è necessario cercare le ragioni profonde della nostra presenza a Lourdes e i moventi delle nostre azioni. A questo livello, nel contatto quotidiano, gli ammalati ci danno molto più di quanto noi diamo loro; l’aspetto ributtante della malattia scompare allora davanti alla grandezza dell’amore offerto. A questo livello si stabilizzano le nostre comuni relazioni di preghiera. Poiché sarebbe troppo poco, se noi ci accontentassimo di aiutare gli ammalati con le nostre azioni, senza prendere la nostra parte di responsabilità spirituale. Noi dobbiamo pregare per loro perché Dio li sollevi, li guarisca nel corpo, li aiuti a superare lo scoraggiamento, doni loro la Sua forza e li calmi. Pregare con loro e in questi spostamenti incessanti tra gli ospedali e la Grotta, saper chiedere loro le intenzioni, per cui vorrebbero pregare o proporne; qualche volta pregare in vece loro quando la stanchezza o la fatica è troppo grande, o semplicemente perché il malato non è cristiano ed è bene allora che noi portiamo davanti a Dio la sua preghiera non espressa. O anche orse toccherà a noi salire al loro posto la “Via Crucis”, o fare alle piscine un atto di fede davanti al quale il malato forse è indietreggiato.

OVE ATTINGERE TUTTE QUESTE QUALITÀ?

Innanzitutto nel sentimento della nostra umiltà davanti al mistero dell’uomo sofferente: accettarlo così com’è, senza indursi, senza pretendere di comprendere tutto; umiltà di sentirsi così vicini a Dio. Attingere anche alla sincerità del nostro cuore: dobbiamo venire a Lourdes con una volontà di comprensione e di amore. I nostri atti, le nostre parole saranno false, se non saranno l’espressione dei nostri sentimenti. Attingere, in definitiva, alla preghiera personale, per la quale noi dobbiamo trovare dei momenti di silenzio e di adorazione.

Allora questi giorni di Lourdes saranno giorni di grazia. Essi ci avranno introdotto in un mondo nuovo di dolcezza, di pace, di amore, di preghiera: il mondo delle relazioni personali tra Dio e noi, tra noi e gli uomini.

Jean Gouzi

IL FUNAMBOLO

C’era una volta un celebre funambolo. La sua abilità era così grande che non era mai caduto dal suo filo d’acciaio. Nella sua giovinezza aveva imparato a camminare su questo filo, prima a pochi centimetri dal suolo, poi gradualmente lo si era alzato fino all’altezza richiesta per poter dare il suo primo spettacolo. Tutti erano concordi: la sua destrezza e il suo senso dell’equilibrio erano straordinari. Nessuno ricordava di averlo mai visto cadere.

Un giorno il circo ebbe serie difficoltà finanziarie. Si propose al funambolo di alzare il filo e di aumentare la distanza del percorso per attirare più gente. I lavoratori del circo avevano posto tutta la loro fiducia nel loro unico funambolo ed erano sicuri di ottenere un successo strepitoso. Rivolgendosi ai suoi compagni di lavoro, il funambolo chiese loro: «Siete sicuri che riuscirò?» Tutti risposero: «Abbiamo fiducia in te e siamo assolutamente certi çhe riuscirai».

Di fatto riuscì. Ogni giorno attirava molta gente, e il circo faceva buoni incassi. Tutti beneficiavano del suo talento.

Dopo un anno di successo, il direttore volle procurare al circo una maggiore risonanza e propose al funambolo una prestazione eccezionale per attirare ancora più gente.

Propose di sistemare un cavo d’acciaio da un’estremità all’altra di una cascata molto elevata e di invitare tutta la gente della regione a quella esibizione senza precedenti.

Tutti i membri del circo rinnovarono la loro fiducia al funambolo, questi non esitò e accettò la sfida. Già pronto per questo pericoloso viaggio sopra la cascata, chiese ancora una volta a tutti se erano sinceri nell’affermare una fiducia

illimitata in lui. Tutti senza eccezione gridarono di sì. Partì dunque e, come tutti si aspettavano, riuscì felicemente anche questa volta. Fu allora che il funambolo prese davanti a tutti la parola e disse: «La vostra fiducia in me è grandissima». «Certo» disse uno dei membri del circo a nome di tutti. «Ebbene, vi voglio proporre una prodezza ancora più straordinaria». «Ottima idea! Dicci che cos’è: la nostra fiducia in te è così sconfinata che accetteremo subito le tue proposte». «Propongo di camminare con una carriola su questo cavo d’acciaio e di fare il viaggio di andata e ritorno. Siccome la vostra fiducia nelle mie capacità è senza limiti, chiedo a uno di voi di salire sulla carriola per fare questa traversata».

Nessuno volle salire.
kirk

Preghiera

– Chiesi a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi:
Egli mi rese umile per conservarmi nell’umiltà.

– Domandai a Dio che mi desse la salute per realizzare grandi imprese:
Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.

– Gli domandai la ricchezza per possedere tutto:
Mi ha fatto povero per non essere egoista.

– Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me:
Egli mi ha dato l’umiliazione perché io avessi bisogno di loro.

– Domandai a Dio tutto per godere la vita:
Mi ha lasciato la vita perché potessi apprezzare tutto.

Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo, ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno e quasi contro la mia volontà.

Le preghiere che non feci furono esaudite.

Sii lodato, o mio Signore, fra tutti gli uomini nessuno possiede quello che io ho!

Kirk Kilgour
Campione di pallavolo, in una sedia a rotelle per un incidente in allenamento