Messaggio della Presidente del Comitato Centrale Agesci Maria Scolobig all’Assemblea Nazionale FB
Venezia 27-28 maggio 1989

Sono veramente contenta di essere qui con voi perché mi date l’opportunità ed il modo di sentirmi perfettamente in sintonia con quello che il mio cuore ha colto stamane  e di chiudere, in un certo senso, idealmente questo mandato (Presidente del  Comitato Centrale, ndr), perché poi non me ne starò con le mani in mano, potete star certi, con una riflessione delle suggestioni sul servizio che le parole di stamane mi hanno portato a pensare tra me: sono cinque, sono semplici, voglio comunicarvele.

È sempre stato all’interno della nostra Associazione un fatto entusiasmante, misterioso e difficile scoprire il cuore del servizio. Direi quasi che, con un linguaggio tipicamente scout, è la più grossa impresa che un capo Scout possa attuare nel suo servizio educativo quella di far cogliere, e non sa lui né il tempo né l’ora in cui i ragazzini-giovani colgono questo: la dimensione profonda del servizio. È veramente un mistero questo.

Noi sappiamo che se accettiamo, se noi e se gli altri accettano questo, la vita cambia però totalmente. Serve pensarci perché mai più che in questo momento occorre distinguere tra fare servizio in associazione ed essere a servizio degli altri. È una grossa tentazione quella di fare tanti servizi, ma non di essere al servizio. Non è solo questione di atteggiamento, o inizialmente è questione di atteggiamento, ma poi come ho detto prima è la vita che cambia totalmente.

Il mondo della sofferenza è stato lo scenario del dialogo che si è svolto stamane tra la parola di chi era qui dietro questo banco e la mente, l’intelligenza e il cuore di chi ascoltava.

Ora essere al servizio degli altri in questo senso ci fa togliere, ci fa eliminare, tutte le nostre sicurezze, ci fa ridimensionare i nostri ritmi, un po’ come succede nella route che è un po’ pellegrinaggio pure essa. Ci fa passare da un atteggiamento di commiserazione (poverino, che sfortunato) a una immedesimazione, qualcuno l’ha detto meglio di me: “che ci fa partire al posto di…, che ci fa assomigliare a Cristo”. Ci sprona, ci fa rendere più competenti; questo è un discorso che si fa in una forma troppo semplicistica, forse troppo gretta ai nostri rovers e alle nostre scolte. Cosa vuol dire essere competenti? Sicuramente non solo quello che l’etimologia della parola vuole dire. Ci fa ricercare la preghiera e la meditazione come tempo e luogo insieme in cui la nostra forza interiore fa il punto della situazione, cerca di essere aumentata.

La seconda riguarda la mia esperienza personale con Lourdes. Io sono stata la prima volta a Lourdes nel ’67. Era un momento poetico anche per le associazioni in quanto avevamo fatto una specie di Clan di formazione con ragazzi e ragazze, venivamo considerati un po’ avventati, un po’ rischiosi in questo genere di esperienze. E vi dirò sinceramente che io ricordo ancora la mia preoccupazione. Qual’era la mia preoccupazione: far quadrare, in qualche modo l’esperienza di Lourdes con quello che voleva che fosse questa Route del tutto speciale. E mi sbagliavo. Mi sbagliavo perché, al di la della giusta preoccupazione, fare quell’esperienza è significativo soltanto se ci si lascia immergere dentro l’esperienza; questa era l’esperienza fondamentale che prima dovevo fare io e poi dovevo cercare in qualche modo di trasmettere ai miei rovers e alle mie scolte. Questo era l’evento eccezionale: calarsi nella situazione.

E poi per molti   la storia è continuata. Lourdes ha questo di particolare, secondo me. Badate che la preoccupazione di far quadrare le esigenze Scout con l’esperienza di Lourdes è una preoccupazione che sento vivissima tuttora ed è un atteggiamento che, come preoccupazione educativa di voi che siete i portabandiera, coloro che possono trasmettere lo spirito oltre che le cose tecniche, concrete, è molto importante verso chi si accosta per la prima volta a questa esperienza.

Però non è il punto della cosa. Il punto della cosa è di pensare a come si potrà far vivere questo avvenimento, ma poi di consigliare i capi di lasciarsi andare, di lasciarsi prendere dal clima di Lourdes; noi siamo molto capaci di lasciarci prendere dal clima di un Fuoco di Bivacco o dal clima di una veglia: ecco si tratta di avere un po’ lo stesso tipo di atteggiamento. Poi vi dicevo la cosa continua a casa; continua a casa perché molti hanno sentito una sorta di attrazione verso questo mondo e han continuato nel loro grande – piccolo “locale” a vivere esperienze di contatto con i bisognosi in genere, non diciamo esclusivamente con gli ammalati, per cui ne è risultato  un itinerario di progressione personale che è continuato nella vita anche dopo che magari hanno abbandonato l’associazione.

La sofferenza oggi, qualcuno anche l’ha già detto o sfiorato come argomento, è stata secolarizzata come tanti altri aspetti religiosi della vita; il dolore si cerca di controllarlo, di tecnicizzarlo, di abolirlo. Ora però noi ci rendiamo conto che, di fronte a questa domanda di controllo totale, la risposta è impossibile. E allora resta per tutti nella vita, o attraverso di Lourdes o fuori di Lourdes, l’incontro con questa dimensione.

Lourdes ci insegna come prenderla; Lourdes ci insegna come porsi. La prima cosa che ho pensato quando mi sono trovata di fronte all’Esplanade a cantare le cinquantadue e passa strofe dell’Ave Maria nella sera , mi dicevo: ma guarda un po’, mio Dio, che campionario che ti portiamo qui; ero forse passata anch’io dalla commiserazione alla immedesimazione. Ora noi crediamo nell’educabilità ad accostarsi al mondo   della sofferenza come crediamo nell’educabilià di qualsiasi aspetto umano, morale, religioso, della vita di ciascuno; l’Associazione ha la sua ragione d’essere per questo. Quindi sicuramente, voi prima di me, siete perfettamente convinti che questa possibilità di educare alla profonda dimensione del servizio c’è facendo determinate esperienze.

E allora la mia presenza qui ha un significato perché riconosce che voi siete “segno” dentro l’Associazione. Ci tengo a dirlo: rendiamoci conto che siete “segno” dentro l’Associazione, AGESCI, dentro MASCI, dentro la Chiesa e dentro la società tutta. Non soltanto perché vivete determinate esperienze, ma perché di esse siete testimoni a tutti coloro che vi vedono.

Molti penseranno:” chi glielo fa fare”; l’hanno detto personalmente anche a me in tanti. E allora penso a come coltivare questo segno; penso, per esempio, a certe forme diventate continuative di collaborazione e di presenza all’interno delle Diocesi, che sono le nostre Chiese particolari, come garanzia anche di presenza di Rovers e Scolte Foulards Bianchi, alla guida di solito di Foulards Bianchi, all’interno di avvenimenti locali che sono pellegrinaggi, ma che sono anche itinerari di formazione che in molte Diocesi sono diventati istituzionali nei confronti dei bisognosi, vuoi anziani, vuoi handicappati, vuoi semplicemente malati. E allora penso quale grande forza noi abbiamo nella proposizione di esperienze significative in queste Chiese locali, con queste forme di collaborazione. Intendo proprio che queste siano delle interpretazioni di mandati espliciti che l’associazione ha sancito attraverso documenti, per esempio dello scorso Consiglio Generale, quando abbiamo parlato di come educare alla fede in AGESCI, quando abbiamo parlato di impegno sociale e politico.

Allora mi chiedo, essendo qui proprio per questo oggi,  che  cosa può significare per i Foulards Bianchi  vivere l’Associazione, AGESCI – MASCI, e vivere nello stesso tempo l’esperienza di Foulards Bianchi. Si tratta innanzi tutto di renderci conto del peso che si può avere e di esplicitarlo. Di renderci conto poi che, ciascuno nel proprio luogo particolare dove l’azione educativa dello Scoutismo si innesta e si incarna, ha la responsabilità di essere un simbolo significativo; questo anche è stato detto, uso lo stesso linguaggio senza che questo sia un’improvvisazione , ma proprio per quella sintonia con la quale mi son posta qui fin dall’inizio.

E direi che anche questo è un aspetto forse non ben capito e ben evidente del fatto che dentro l’Associazione esistono i Foulards Bianchi, perché anche questo è un servizio all’educazione.

Noi non sappiamo quando un giovane, uno di quei giovani descritti così bene, un Rover e una Scolta, che poi sono dei giovani un po’ particolari per certi aspetti è un Capo, riesce a cogliere questa dimensione profonda del servizio. Certo è che abbiamo la grossa responsabilità di pensare e fornire tutte le occasioni affinché questo avvenga e quel momento, vi assicuro, sarà ancora e sempre un fatto misericordioso di quel Dio buono che è per tutti noi.

E per finire proprio, perché volevo dispormi anche l’animo venendo qui, in treno mi sono andata a leggere alcuni Salmi e ne ho trovati due che vi lascio proprio come conclusione del saluto.

Sono il Salmo 90 che parla della fragilità dell’uomo e il 71 che è la preghiera di un vecchio.

Ebbene guardate: al di là di tutto quello che viene detto sullo stato in cui l’uomo vive da vecchio e da fragile, c’è una parte immensa in cui Dio è buono, non è solo Padre, ma è buono cioè si interessa del singolo come di un figlio, non è solo un Creatore, ma è proprio Colui che salva quel singolo con quel nome.

Ecco questo è tutto quello che volevo dirvi, vi ringrazio ancora.

Maria Scolobig
Presidente del Comitato Centrale Agesci